L’autonomia regionale, su cui si sta battendo in maniera prepotente la Lega, può costituire un’occasione per lanciare la sfida di una maggiore efficienza a condizione che vengano individuate contestualmente le giuste garanzie a difesa dell’unità nazionale e della coesione territoriale. Due principi sanciti nella nostra Costituzione che costituiscono sempre la bussola per qualsiasi riforma che si propone di affidare maggiori poteri alle Regioni e agli enti territoriali.
Non a caso il Capo dello Stato ha di recente posto l’accento proprio sulle garanzie di cui l’autonomia deve farsi carico soprattutto in tema di diritti civili e sociali e di esigenze perequative. La legge di bilancio che andrà in Parlamento fra qualche giorno prevede l’introduzione dei Lep, che serviranno a sostituire la ripartizione dei fondi alle Regioni attraverso la spesa storica, che si è rilevata in concreto iniqua, con quella dei fondi perequativi, piu idonea a salvaguardare la coesione tra le varie Regioni del Paese. Un cambiamento sostanziale, richiesto soprattutto dal mezzogiorno, che rischia di non centrare gli obiettivi perchè la manovra prevede sì l’introduzione dei lep, ma nasconde anche la beffa della mancata assegnazione delle risorse. Per questo sull’autonomia differenziata – per come definita dalla bozza di riforma – occorrono seri approfondimenti, una discussione ampia parlamentare e, se necessario, anche referendaria.

Molti aspetti della “bozza Calderoli” sono del tutto inaccettabili, a partire dalla scuola, ad esempio. Nella nuova bozza se ne prevede la regionalizzazione, con il forte rischio di un processo anche di privatizzazione che finirà per alimentare atroci diseguaglianze: programmi di studio diversi a livello regionale, sistemi di reclutamento territoriali, meccanismi di finanziamento differenziati causerebbero troppe disparità nel territorio nazionale mettendo a rischio la formazione dei giovani, che restano il nostro capitale umano. Con tutte le conseguenze nefaste anche sul versante dello sblocco dell’ascensore sociale, necessario, oggi più che mai, a valorizzare merito e competenze.

Anche sulla sanità è il caso di aprire una discussione: il Covid ha fatto emergere tutte le difficoltà e molti dei disastri gestionali nei venti sistemi sanitari regionali. E invece siamo usciti dalla fase più critica della pandemia soprattutto perché le vaccinazioni sono state gestite direttamente dal Governo centrale attraverso i commissari e la protezione civile. La bozza Calderoli aprirebbe, inoltre, una ulteriore falla nell’architettura istituzionale e politica italiana esautorando i poteri del Parlamento. Nella bozza infatti è previsto che le Camere esprimano un semplice parere non vincolante sulla futura intesa che si dovrà raggiungere in Conferenza Stato – Regioni e una successiva approvazione del disegno di legge preparato dal Governo, ridimensionando del tutto il ruolo del Parlamento da una discussione che riguarda i cittadini.

Con un duplice rischio ulteriore: si potrebbero creare nuove regioni “speciali” senza l’adeguato percorso costituzionale, in quanto alcune regioni hanno già richiesto l’assegnazione di tutte le competenze; si minerebbe seriamente l’unità politica nazionale perché vengono sottratte le Regioni dal controllo parlamentare. La riforma sull’autonomia differenziata, perciò, non può essere definita solo nelle stanze dei ministeri o negli incontri bilaterali tra il Governo e le Regioni, ma deve coinvolgere il Parlamento e i cittadini. Altrimenti si rischia di fare gli stessi errori fatti con la falsa abolizione delle Province: una mezza riforma che creerà solo ulteriore confusione istituzionale e che danneggerà esclusivamente i cittadini sui servizi erogati.