Sono un uomo di sinistra da più di mezzo secolo, praticamente da quando ho l’età della ragione. E voterò Sì, senza se e senza ma, al referendum confermativo della riforma della giustizia approvata dalla maggioranza, come ha dichiarato anche il mio carissimo amico Goffredo Bettini, dal quale mi dividono molte scelte, ma non questa.

I magistrati e la lotta contro il Male

Fondamentalmente, ritengo che dietro il nobile usbergo della lotta alla mafia e la corruzione, purissimi intenti, dagli anni ’90 in Italia è cresciuto a dismisura il peso della magistratura inquirente, la cui ala più radicale è diventata una specie di squadra di Supereroi Avengers, venerata da folle plaudenti. Essi cercano e combattono non i reati, ma il Male; non a caso, i loro principali leader oggi sono politici del M5S, il partito populista che ha nel giacobinismo giudiziario la sua anima. Tutto ciò ha provocato una valanga di mega-inchieste contro politici e imprenditori, accusati di corruzione o addirittura di essere i mandanti dello stragismo mafioso. Inchieste che nella maggior parte dei casi – dopo anni, talvolta decenni, di processi – si sono concluse con l’assoluzione degli imputati, che nel frattempo hanno visto la loro storia politica e il proprio onore infangati e gettati in pasto alla belva del processo mediatico. E intanto è stata alimentata, tramite i social media digitali, una bolla di odio contro la politica e le istituzioni democratiche, contro i loro valori, tra cui il caposaldo di ogni democrazia liberale che è la presunzione di innocenza fino all’ultimo grado di giudizio.

Autonomia

Basta leggere le cronache: sindaci, presidenti di Regione, ministri o ex ministri, ex presidenti del Consiglio, la tragedia dei suicidi di Tangentopoli. L’elenco è lungo. Questa pagina deve essere chiusa, non per tornare alla tolleranza verso l’illegalità, bensì per tornare al ruolo che la nostra Costituzione assegna alla magistratura, che il Presidente Mattarella ha di recente così descritto: “Nessun potere dello Stato – nessuno – è immune da vincoli e controlli”. Né la politica né la magistratura, la quale “deve con indipendenza e autonomia” decidere “in modo imparziale, senza influenze o condizionamenti, anche derivanti da eventuali pregiudizi personali”.

Referendum giustizia, “io voto No per mandare via Meloni”

Di recente mi è capitato di parlare del referendum con alcuni amici, che hanno la mia stessa formazione e storia politica: sono di sinistra fin da ragazzini. Ma al mio argomentare nel merito mi hanno risposto più o meno così: “A me del merito non mi frega un tubo, io voto No per mandare via Meloni e perché questa riforma mette in pericolo la democrazia”. Tale modo di ragionare nuoce anzitutto alla sinistra, perché quando il pensiero si polarizza e si paralizza attorno a un nemico da abbattere, la sinistra è destinata a perdere. Se si segue il racconto della destra senza saper imporre il proprio, come dimostra l’avvento di Donald Trump negli Usa, la destra vincerà sempre perché il suo elettorato crede in valori semplici e unificanti: Dio, patria e famiglia. In sé non significano nulla e spesso vengono traditi dalla stessa destra, ma offrono certezza e sicurezze in un mondo in vorticoso cambiamento.

La sinistra, per opporsi con efficacia alla destra, dovrebbe dunque non accettare il terreno cui la destra la spinge: la politica come guerra, l’avversario come nemico da abbattere, la politica come contrapposizione di falangi armate, il dubbio come segno di debolezza e indice di tradimento. Finché si rimane su questo piano, la destra vincerà sempre. E dunque, conducendo una campagna sul “No alla riforma a prescindere” in nome della democrazia in pericolo, se il Sì dovesse vincere che facciamo poi, amici miei? Andiamo a fare i partigiani in montagna, anziani e pieni di acciacchi come siamo? Non pensate a Meloni.

Carmine Fotia

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