Nel caso di Bose – il fondatore della famosa comunità monastica ha problemi con successore e confratelli, dunque va mandato via – la Chiesa scopre una volta di più l’acqua calda. In particolare per quel mondo particolare rappresentato dalle comunità monastiche, la riscoperta è dell’acqua caldissima. Cioè quando le litigate e gli interessi portano allo scoperto l’inutilità degli ideali sbandierati con tanto ardore, emerge il disastro dei rapporti umani.

La relazione interpersonale ovunque, ma soprattutto nel mondo ecclesiastico, è realmente un problema. Perché nel mondo ecclesiastico la bontà è inserita nel “contratto di lavoro”: bisogna essere buoni e pazienti in quanto cristiani. Poi però siccome non ce la facciamo, allora a parole ci dichiariamo buoni e comunque peccatori, però nei fatti la facciamo pagare cara ai nostri oppositori o rivali. E sempre a mani giunte, facendo finta di fare il loro bene.
Complicato? Irrealistico? Troppo dissacratorio?

Bene, il caso di Bose è eclatante. Enzo Bianchi non si riesce a mandarlo via oramai da maggio 2020 e neanche l’autorità del Visitatore Apostolico produce effetto. Nonostante Bianchi abbia accettato di spostarsi altrove, è restato lì. Adesso l’ultimo decreto reso noto per merito del sito internet cattolico Settimananews (che ne ha dato notizia) è piuttosto bizantino. In sostanza Bianchi avrebbe accettato di andare a Cellole, vicino San Gimignano, in un altro degli eremi collegati a Bose. Il colpo di genio arriva subito dopo: Cellole accoglie Bianchi ed un gruppo di monaci che lo assistono (è anziano) ma la località smette di far parte dei monasteri di Bose. Viene ceduto in «comodato d’uso» (ma dove si è mai sentito?) e i monaci che erano lì, si trasferiscono altrove. Adesso aspettiamo che l’ex priore (però sempre fondatore), si trasferisca. Chissà se ci andrà davvero.

Addirittura esce allo scoperto il Visitatore Apostolico e la sua decisione viene pubblicata dalla stampa cattolica con un certo rilievo. Il passaggio-chiave del decreto eccolo qui: «Dopo non pochi tentativi volti a rendere più agevole a Fr. Enzo Bianchi l’obbedienza (al decreto di maggio che prevedeva l’allontanamento, ndr.) (…) lo scorso 4 gennaio 2021 il Delegato Pontificio (…) ha emanato un Decreto (notificato l’8 gennaio) nel quale ha richiesto alla Comunità monastica di Bose di: interrompere a tempo indeterminato i legami con la Fraternità Monastica di Bose a Cellole, sita in località Cellole di San Gimignano (SI), la quale pertanto è stata chiusa e non può essere considerata come Fraternità della Comunità Monastica di Bose, fino a quando non si deciderà altrimenti». Seconda decisione: «Cedere in comodato d’uso gratuito il complesso di immobili di Cellole a Fr. Enzo Bianchi, che vi si trasferirà entro e non oltre martedì 16 febbraio p.v., avendo già dato il suo assenso al riguardo, assieme ad alcuni fratelli e sorelle che hanno manifestato la propria disponibilità ad andare con lui e si troveranno nella condizione di membri della Comunità Monastica di Bose extra domum».

E dunque i monaci che lo seguono avranno un permesso speciale per continuare a far parte di Bose pur essendo altrove. È un capolavoro del “cerchiobottismo” che non ha confini ideologici o religiosi. Poi naturalmente abbiamo il solito pianto greco: ci dispiace, decisione sofferta, eccetera eccetera. Ma resta il fatto che i rapporti interpersonali qui hanno fatto emergere un fallimento ad altissimi livelli. Altro che fraternità di Bose (o di qualunque luogo); la diatriba ha alla base dei rapporti che hanno smesso di funzionare perché nessuno sa come mettervi ordine. E poco ha da sgolarsi il noto docente e commentatore Alberto Melloni dalle colonne di La Repubblica. La geo-politica cattolica non ha niente a che vedere con la vicenda. Avrebbe a che vedere se lo scontro o il dissidio fosse emerso sul tema generale dell’ecumenismo (argomento su cui Bose ha una grande tradizione) o su questioni specifiche del dialogo con ortodossi o con altre confessioni cristiane.

No, qui siamo invece in tutt’altra vicenda: un fondatore che prima capisce la necessità di farsi da parte (è fondatore, mica può restare in eterno a comandare, vista l’età) e dopo qualche tempo si accorge che ha veramente una zero capacità a farsi per davvero da parte. Però in mezzo i suoi confratelli hanno nominato un altro priore – hanno preso sul serio la rinuncia – salvo scoprire che proprio non si riesce ad andare d’accordo. Certo farsi da parte quando hai fondato qualcosa di unico è difficile. Certo la colpa se la prende tutta Enzo Bianchi. Magari scopriremo in futuro che qualcuno avrà approfittato del suo lasciare la guida per fargli pagare qualche conto sospeso. Del resto non è chiaro come si entri a Bose e come si rimanga; non è chiaro quali siano i criteri di ammissione e se si metta in atto qualche valutazione di candidati e candidature. Il mondo cattolico (e non solo) è ben fornito di persone che desiderano cambiare il mondo – a parole – mentre nella realtà desiderano farsi largo e gestire il potere. Forse a Bose non ci sono i necessari contrappesi.

Intendo sottolineare un’idea semplice e complessa. Per entrare in seminario è necessario sottostare a una prassi bene regolata (almeno sulla carta) e comunque esiste qualche criterio per accettare le persone oppure respingere chi abbia eccessive fragilità psicologiche. Per quanto riguarda Bose non si sa nulla dei criteri di ammissione e quindi possiamo legittimamente aspettarci una scarsa capacità di gestire i conflitti. Quei conflitti interpersonali che hanno la capacità di sfasciare e avvelenare qualunque realtà quando non vengono gestiti. Pertanto Melloni sbaglia quando legge la vicenda sullo sfondo di una complessa geopolitica ecclesiale. La complessità esiste però in tutt’altra direzione e riguarda la complessità relazionale; la situazione si poteva risolvere se fosse stata gestita meglio.

Vanno sottolineati due aspetti del perché la Chiesa in generale non è capace di affrontare i conflitti relazionali. Prima di tutto perché li nega sempre e pensa che con il pentimento si risolva ogni problema. Non è così, tutt’altro. I conflitti si affrontano, rappresentano il sale delle relazioni umane. Non basta dire di appartenere alla stessa fede per andare d’accordo. L’accordo va cercato a fatica con pazienza e con metodo. Non va coperto dall’ideologia buonista del siamo tutti parte di una stessa Chiesa, per il semplice motivo che non è sufficiente dirlo, occorre vedere quali sono i comportamenti concreti e quali sentimenti negativi vengono negati mentre restano lì a distruggere rapporti. I sentimenti negativi di invidia, gelosia, avidità, odio, rancore, esistono e vanno gestiti mentre di solito si mimetizzano. Occorre smascherare la regola secondo cui nessuno sopporta qualcuno ma si fa finta di niente perché il qualcuno magari è il capo. E allora lo si boicotta nelle decisioni o si parla alle spalle. Quando smette di essere il capo, allora tutti a dargli addosso per sfogarsi. Vecchia storia ma nel terzo millennio un po’ triste e demodé.

L’altra questione è relativa alla incapacità di attuare una sana psicologia, capace di aiutare in queste situazioni. Se il Visitatore Apostolico avesse qualche nozione di psicologia delle differenze individuali, forse avrebbe trovato il bandolo della matassa, invece di disquisire sulla “crisi di crescita” di Bose nel passaggio dall’anziano buon papà al giovane figliolo inesperto. È necessario decifrare la grammatica e la sintassi ed il significato delle relazioni e dei conflitti. Ma anche qui pur senza chiedere troppo, si poteva fare ricorso anche ad un’altra risorsa della psicologia: la psicologia relazionale di impostazione sistemica (in Italia, ad esempio, ha esponenti di rilievo, tutti laici però!) avrebbe sicuramente portato fuori dalle secche invece di allargare questa palude fino all’ingestibile.

Se qualcuno pensa che si tratti di teorie con poco fondamento, possiamo riflettere su un ulteriore elemento: a parte termini come ‘frattura’, ‘dolore’, ‘scandalo’ e via così, da Bose-comunità non è venuta una spiegazione chiara di quanto sta accadendo. Il confitto è tutto relazionale, dunque. E la Chiesa scopre l’acqua calda: al centro di ogni attività ci sono i rapporti interpersonali. Non basta pregare per risolvere ogni dissidio. Anzi, non serve. Bisognerà diventare capaci, una volta o l’altra, di sperimentare strategie e procedure per crescere dal punto di vista umano.

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Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).