Perché stiamo ancora parlando del vitalizio da dare o meno a Ottaviano Del Turco? La domanda è legittima se facciamo uno sforzo di memoria: come vi abbiamo raccontato la questione è spinosa in quanto il reato del quale è accusato Del Turco risale al 2006 e la delibera sul ritiro del vitalizio ai senatori condannati per particolari reati (mafia, terrorismo e contro la Pubblica amministrazione con pene superiori a 2 anni di reclusione) è del 2015. L’assurdità è che il problema della irretroattività della delibera in questione era stato ampiamente discusso negli otto pareri che l’Ufficio di Presidenza del Senato aveva chiesto ad altrettanti giuristi (Sabino Cassese, Cesare Mirabelli, Valerio Onida, Massimo Luciani, Alessandro Pace, Michele Ainis, Giancarlo Ricci e Franco Gallo).

Le conclusioni non furono unanimi ma sono lì, cristallizzate in qualche ufficio del Senato. Per Irene Testa, tesoriere del Partito Radicale, «quei pareri costarono alla collettività circa 100mila euro e neanche sono stati resi pubblici. Come Partito Radicale riteniamo inaccettabile che alcuni vertici delle amministrazioni di Camera e Senato possano fare elargizioni di denaro pubblico senza darne conto con trasparenza». Testa, autrice del libro Sotto il tappeto. Autocrinia e altri misteri di palazzo e co-autrice con l’avvocato Alessandro Gerardi del testo Parlamento zona franca: le Camere e lo scudo dell’autodichia si pone giustamente due domande: «il Senato ha dei funzionari che vengono pagati per dirimere particolari questioni. Perché 5 anni fa abbiamo dovuto pagare dei professionisti esterni? Ora che la questione del vitalizio di Del Turco è stata sospesa, dovremmo spendere altri soldi pubblici per risolverla, chiedendo pareri ad altri giuristi?».

Ma ripercorriamo in sintesi quei pareri. Cassese aveva scritto che le misure che si sarebbero dovute adottare «prestano il fianco a numerosi critiche perché illegittime costituzionalmente. Esse dispongono con atto regolamentare una misura sanzionatoria accessoria a misure penali, senza un adeguato fondamento legislativo, in violazione dell’articolo 25 della Costituzione. Privano con misura sanzionatoria, in modo retroattivo, i destinatari di un diritto loro spettante in base alle norme precedenti, anche in questo caso in violazione dell’art. 25 della Costituzione. Prevedono l’irrogazione di una sanzione senza che sia garantito il diritto di difesa». Tra i contrari alla delibera anche l’ex vice presidente del Csm Cesare Mirabelli che aveva avvertito che la «cessazione della erogazione di un trattamento previdenziale ossia la perdita di un diritto quale effetto automatico e consequenziale di una condanna penale» sarebbe dovuta essere analizzata nell’ambito della disciplina delle pene accessorie, ambito in cui opera, innanzitutto, «il vincolo della riserva assoluta di legge».

In pratica per Mirabelli la forma della delibera era inidonea a normare la questione, occorreva una legge. Dello stesso parere Massimo Luciani, ordinario di diritto costituzionale all’Università La Sapienza di Roma, per cui «la misura della cessazione dell’erogazione dei vitalizi e delle pensioni» configurava «una sanzione penale accessoria». La misura sarebbe potuta essere disposta solo facendo ricorso a una legge. Ma anche così ci si sarebbe scontrati con l’applicazione del principio dell’irretroattività della pena. Per Valerio Onida, giudice emerito della Corte Costituzionale, invece si poteva intervenire ma solo rivedendo l’intera disciplina dei vitalizi.

Il più favorevole alla delibera fu invece Michele Ainis che scrisse addirittura: «l’Ufficio di Presidenza del Senato non incontra alcun limite costituzionale ove intenda revocare il vitalizio [..]. Anzi, in qualche misura deve farlo, per una ragione di etica costituzionale, se non di diritto costituzionale. […] La Costituzione italiana è ben più esigente con i parlamentari rispetto ai comuni cittadini, circa l’integrità morale richiesta». Favorevoli alla delibera furono anche Alessandro Pace, emerito di diritto costituzionale, Giancarlo Ricci, docente di diritto del lavoro e Franco Gallo, emerito di diritto tributario.

La partita possiamo dirsi che si concluse con un pareggio però resta un problema, ci dice Irene Testa: «Come hanno rilevato alcuni costituzionalisti la cessazione dei vitalizi agli ex parlamentari condannati non potrebbe essere disposta con una delibera del Consiglio di presidenza, ma tramite una legge. Purtroppo però questo non accade perché nei due rami del Parlamento vige l’autodichia, ossia quella zona franca della giurisdizione che consente alle Camere di regolare la propria vita interna in maniera autonoma. Le norme valide all’interno delle due Camere sono di fatto costruite su delibere, frutto di decisioni di una ventina di persone. Sul caso Del Turco come Partito Radicale chiediamo alla Presidente Casellati di proporre di modificare quella delibera, perché essa viola uno dei cardini del diritto, ossia la non retroattività».