Il ricordo
Chi era Lino Jannuzzi, instancabile giornalista e le battaglie da vero garantista: da Tortora a Berlusconi
Non si è mai piegato al circo mediatico giudiziario. Con grande dedizione si è battuto a favore di Enzo Tortora, Silvio Berlusconi e Bettino Craxi
Lino Jannuzzi, si sa, requiem all’anima sua, era amato, come è rimpianto, proprio per il suo modo di porgersi contro la conservazione dell’identico e contro le banalità sociologiche buone per tutte le stagioni. Per carattere, poi, rifiutava l’amicizia dei fini dicitori di langue de bois e non aveva alcuna riverenza per chicchessia.
In Via della Croce, la sinistra di Riccardo Lombardi aveva in un antico palazzo la sua sede dove – settimanalmente – la corrente veniva riunita per fare il punto della situazione politica. Più volte la settimana ci incontravamo – in vista delle convocazioni della Direzione o del Comitato centrale o in occasione di eventi politici, da cui non avremmo potuto sottrarci – per impostare una risposta o puntualizzare alla bell’e meglio la linea politica. Erano anni di intenso dibattito politico, a sinistra. Alla fine delle riunioni di corrente il gruppo composto da Claudio Signorile, Gianni De Michelis, Fabrizio Cicchitto, Roberto Spano e il sottoscritto andava a pranzo al ristorante Otello.
Eravamo degli habitué, vista la vicinanza della nostra sede al ristorante. Da Otello, quasiché ci dessimo appuntamento, incontravamo Lino Jannuzzi attovagliato con i suoi amici. Lui con gli occhi malandrini dietro grandi occhiali a goccia da vista con sigaro cubano fumante, la cui marca non avrebbe potuto essere un Montecristo, o un Romeo y Julieta o un Cohiba. Spano, grande esperto e fumatore di sigari cubani, dal profumo più aromatico rispetto a quello più forte di Cohiba, scartava Romeo y Julieta, Dio solo lo sa, mi disse sotto voce che era il grosso Montecristo. Era una rimpatriata di Ugini. Ognuno di noi in età diverse era appartenuto all’Unione Goliardica Italiana, il cui fondatore per Jannuzzi fu Franco Roccella (padre di Eugenia, attuale ministro della Famiglia).
Quel giorno Jannuzzi ci trattenne, amareggiato, sull’incendio scoppiato sul suo motoscafo, ma – dopo pranzo – tutti insieme uscimmo dal ristorante, lui salì alla guida di una lussuosa decappottabile e se ne andò come un fulmine. E noi un po’ invidiosi e impietriti nel vederlo andare via. Il che rientrava nel suo stile di vita avventurosa, dedito al divertimento, il cui tenore di vita era eccessivamente dispendioso. Per me impersonava un “Hemingwayno – napoletano”, fan da giovane di Glenn Miller che impazziva al suono di “In the Moon” e da adulto aveva una venerazione sacrale di Honoré De Balzac. La mia ammirazione per Jannuzzi andò alle stelle, allorché nel 1967 il settimanale pubblicò (a quattro mani, Lino Jannuzzi ed Eugenio Scalfari) l’articolo con il titolo “1964 Segni e de Lorenzo tentarono il colpo di Stato”.
Il Piano Solo fu un piano di emergenza speciale a tutela dell’ordine pubblico fatto predisporre nel 1964 dal generale dei CC Giovanni de Lorenzo, con il placet del presidente della Repubblica Antonio Segni. De Lorenzo querelò i due giornalisti, furono condannati ed evitarono il carcere grazie all’immunità parlamentare offerta loro dal PSI. Scalfari venne eletto alla Camera dei deputati a Milano e Jannuzzi nel collegio senatoriale nel Cilento. La mia simpatia andava a Jannuzzi, che è restata tale e quale fino alla morte. Grande giornalista di inchiesta, era uno straordinario personaggio che umanamente si faceva volere bene, ancorché politicamente non legato ai poteri forti come fu Eugenio Scalfari.
Vale la pena ricordare le battaglie garantiste di Jannuzzi a favore di Enzo Tortora, di Silvio Berlusconi e di Bettino Craxi, la cui visita del giornalista ad Hammamet fu molto gradita. A conferma di ciò, Jannuzzi non ha mai baciato la pantofola del circo mediatico giudiziario. Anzi, lottava come sapeva fare solo lui. Gloriosa fu la direzione di Radio Radicale di Jannuzzi, la cui abilità ad aprire un dialogo, con l’appoggio del PSI, con le Br portò alla liberazione del giudice Giovanni D’Urso. Contro il partito della fermezza, di cui uno dei capi era proprio il suo “amico” Eugenio Scalfari.
Fabrizio Cicchitto fu molto amico di Lino Jannuzzi e parlando di lui mi ha narrato che cosa combinò a spese del PCI al congresso dell’Unuri – Unione nazionale universitaria – a inizio anni Sessanta, a Rimini. Lino Jannuzzi chiese ad Achille Occhetto di parlare a nome degli universitari comunisti e il giovane leader del PCI diede il suo assenso, inconsapevole in quale tafferuglio si sarebbe trovato. L’intervento fu tutto in chiave estremista e infiammò la platea; dei pescatori comunisti, che si trovarono lì non si sa perché, applaudirono spellandosi le mani. Jannuzzi concluse: “Ringrazio Occhetto e, finalmente, ho capito lo sforzo che i dirigenti comunisti devono fare per raccontare le tante fesserie che il PCI propina tutti i santi giorni a quei poveri disgraziati dei suoi elettori”. Lino Jannuzzi evitò il linciaggio scappando via come un centometrista.
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