La dimostrazione – che a me pare inoppugnabile – della partecipazione del presidente del Consiglio e del vicepresidente del Consiglio e del governo, e della maggioranza parlamentare dell’epoca (5 Stelle più Lega) alle decisioni di Salvini è molto importante per due ragioni. Innanzitutto perché se la scelta era una scelta collettiva e di governo è fuori discussione il fatto che non fosse una scelta personale di Salvini per difendere qualche suo interesse ma fosse invece una chiarissima e convinta (e insindacabile dalla magistratura) scelta politica.

E poi perché la maggioranza parlamentare che approvò quella scelta (e che aveva ribadito il suo giudizio in occasione della crisi della nave Diciotti, crisi identica a quella della Gregoretti per la quale il Parlamento non concesse l’autorizzazione a procedere contro lo stesso Salvini) è evidentemente responsabile come Salvini, e dunque non si riesce a spiegare come mai, oggi, proprio una parte di quella maggioranza (i 5 Stelle) sembra orientata a votare contro Salvini e quindi contro se stessa. Sarebbe una specie di confessione: Tutti noi siamo stati complici di un sequestro di persona. A quel punto non sarebbero tutti processabili, senatori e deputati di maggioranza, circa 500? (Almeno per concorso esterno…)

Come se ne esce? In nessun modo, perché il 20 gennaio in Senato non si discuterà se la magistratura ha il diritto o no di processare le scelte politiche dei ministri e del Parlamento, si discuterà di quanti sono, in commissione, i senatori filo-Salvini e quanti sono gli anti-Salvini. Ecco: questo è un obbrobrio. Mettersi sotto i piedi il diritto, la separazione dei poteri, l’autonomia della politica, non certo per difendere gli immigrati ma solo per cambiare i rapporti di forza fra i partiti e i gruppi politici, è segno di grande irresponsabilità, E imporrà un prezzo molto alto alla politica, se nessuno avrà il coraggio di rompere i fronti. È chiaro che consegnare Salvini ai giudici è suicidio democratico.

Recentemente Matteo Renzi ha citato un grandioso discorso di Aldo Moro pronunciato alla Camera nel marzo del 1977. In quel discorso Moro, che era un democristiano, ma anche uno statista e un giurista, difese con tutte le sue forze l’autonomia della politica e il diritto. Fu sconfitto. Vinsero i giacobini. Il ministro Gui e il ministro Taviani furono mandati a processo. Bisogna ripetere quella pagina oscura della politica italiana? E Matteo Renzi, che ha avuto il merito ricordarla ai giovani senatori di oggi – molti dei quali, forse, purtroppo, non conoscono Moro – voterà anche lui per consegnare Salvini ai magistrati?

Ieri abbiamo pubblicato su questo giornale una dichiarazione molto bella di Yael Dayan, figlia del mitico generale israeliano Moshe, il trionfatore della guerra dei sei giorni. Ha detto: «Ho combattuto Benjamin Netanyahu tutta la vita. Però non voglio che sia processato, voglio sconfiggerlo nella battaglia politica». Avremmo bisogno, qui da noi, di tante, tante Yael Dayan. Ma non si trovano.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.