C’è un desaparecido nella crisi di governo. E si chiama Movimento cinque stelle. È nel corpaccione del più grande gruppo parlamentare che Conte può trovare la salvezza o la dannazione di un ritorno alla vita privata. Qui si gioca la partita finale, da una parte l’avvocato del popolo, dall’altra i grillini.
Nelle ultime due settimane Conte ha inviato uno dei suoi più fidati ministri a trattare con il gruppo dei senatori a Cinque stelle. Ma l’operazione non ha sortito grandi effetti. Patuanelli, titolare del Mise, ha parlato chiaramente e con i galloni del colonnello sul campo ai suoi. “Non c’è altra scelta, o Conte o il voto”. Mugugni. Poi l’offerta. “Il collegio sicuro io ce l’ho, me lo ha assicurato il Presidente”. Della serie, potreste averlo anche voi. “La sorpresa – racconta chi era presente – è sentire parlare Patuanelli come se il Movimento non esistesse più, come se lui non fosse mai stato il presidente del gruppo”. Questo avveniva prima di Natale.

Ma quando è stato chiaro che Matteo Renzi non avrebbe lasciato la presa, l’ufficiale di collegamento ha fatto capolino di nuovo sulle webcam dei senatori. “Il Presidente vuole andare a votare, chi ci sta di sicuro verrà candidato nel suo partito”. Ed è a questo punto che inizia lo showdown. “Vi state fidando dei sondaggi, se Conte fa la lista non arriva al 4%”. Questa una delle risposte che in tempo reale Patuanelli gira a Conte. Archiviato il Capodanno nelle ultime ore il valzer delle poltrone diventa vorticoso. Conte pur di rimanere a Chigi mette sul piatto tutto: senza un partito le uniche armi rimangono i sondaggi di popolarità, soprattutto quelli del fidato Pagnoncelli sui quali come abbiamo visto in molti nutrono dubbi, e i posti di governo. Ecco quindi che arrivano i boatos: la proposta di Guerini agli Interni e Rosato alla Difesa.

Ma la novità dell’ultima ora è quella da ultima spiaggia: Conte, sostengono voci autorevoli e convergenti, avrebbe messo a disposizione del Pd e Italia Viva il dicastero di Via Arenula. Silurare Bonafede, suo vecchio sponsor ma soprattutto capodelegazione M5s, appare come un suicidio e insieme un guanto di sfida nei confronti del Movimento che lo ha portato in politica e issato fino al governo. Di certo un’apertura a Renzi e una sconfessione totale del giustizialismo. Per questo tutti dentro il Movimento, e non solo, guardano a Di Maio. Che in queste ore però tace. Quello che invece si schiera, come risulta a Il Riformista, è Beppe Grillo che informato della campagna acquisti di Conte irrompe e come ai vecchi tempi fa sapere ai suoi cosa ne pensa. “Niente colpi di testa ma su qualcosa lui deve cedere”. Il riferimento di Grillo, raccontano fonti M5S, è proprio alla questione dei Servizi di sicurezza: “Quando Renzi provò a metterci i suoi amici, noi lo abbiamo contrastato”.

Una sorta di endorsement ai nemici del Presidente dentro e fuori M5s, non un requiem ma di certo un brutto colpo per Palazzo Chigi, che ha avuto in Grillo un asset fondamentale nel suo dispositivo di potere. Certo è che proprio sulla questione un governo di larghe intese si è formato da destra a sinistra. L’ostinazione di Conte di tenere per sé il pallino dei servizi è vista male da tutti, dal Pd come dal Quirinale e ovviamente dal Movimento.

E si torna quindi al silenzio di Luigi Di Maio. Che altro non è che il secondo tempo del lungo rapporto di “odio e amore” tra lui e Renzi che va fatto rimontare all’inizio della primavera 2014. “Con chi devo parlare con te o con Grillo e Casaleggio?”. Questo il messaggio di sfida che l’allora presidente del Consiglio inviò a Di Maio, a quel tempo “soldato semplice” della truppa. Sfida che solleticò non poco l’ambizione del ragazzo campano che proprio da lì iniziò la sua ascesa. Oggi Renzi aspetta un cenno dall’amico-nemico, “una prova di maturità”, dicono dall’entourage renziano.
Ecco allora il Movimento “desaparecido”, privo di una strategia e preso tra due fuochi: quello di Conte che prova a vendere un partito che esiste solo nei sondaggi e quello di Di Maio che democristianamente tentenna pensando al suo futuro politico.