È sicuramente uno dei procedimenti disciplinari più complessi che le mura di Palazzo dei Marescialli ricordino. Stiamo parlando di quello a carico dell’ex pm milanese, ora giudice a Torino, Ferdinando Esposito, magistrato dai natali importanti. Il padre, Antonio, è stato il presidente del collegio che in Cassazione mise il sigillo sulla condanna a quattro anni per frode fiscale nei confronti di Silvio Berlusconi, lo zio, Vitaliano, fino al 2012 è stato procuratore generale della Corte di Cassazione. A circa sei anni dall’inizio dell’azione disciplinare non si è ancora giunti ad una sentenza.

Tutto inizia nel 2014 quando la Procura generale decide di avviare l’azione disciplinare nei confronti di Esposito. Il magistrato è in buoni rapporti con l’entourage berlusconiano. A parte le uscite serali immortalate dai fotografi con l’ex consigliere regionale forzista Nicole Minetti, Esposito si reca varie volte ad Arcore da Silvio Berlusconi. Incontri, come poi spiegò, in cui aveva espresso al leader di Forza Italia il desiderio di entrare in politica o di avere un posto in un Ministero a Roma. Uno di questi incontri avvenne il 22 maggio 2013 al termine di settimane incandescenti per Berlusconi. L’11 marzo c’era stata la maxi manifestazione dei deputati azzurri davanti al Palazzo di giustizia di Milano. Il 6 maggio il rigetto della Cassazione della richiesta di Berlusconi di spostare i processi da Milano. L’8 maggio la condanna in appello sui diritti tv. E il 13 maggio la requisitoria Ruby. Esposito ha sempre dichiarato di non aver mai discusso con Berlusconi dei suoi processi milanesi. Tornando al disciplinare, gli accertamenti istruttori durano molti mesi.

La richiesta del procuratore generale della Cassazione di fissazione dell’udienza davanti alla Sezione disciplinare del Csm arriva solo il 20 luglio 2016. Vari i capi di incolpazione. «Ottenere direttamente o indirettamente prestiti o agevolazioni da soggetti che il magistrato sa essere indagati in procedimenti penali; l’uso della qualità di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per se o per altri; comportamenti scorretti nei confronti di altri magistrati; comportamenti che arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio delle parti». In particolare, c’è l’affitto di una casa nel centro di Milano. Esposito avrebbe cercato di spingere l’avvocato Michele Morenghi – prima suo amico e poi principale accusatore – a subentrare, con l’immobiliare amministrata da una terza persona, nell’affitto di 32 mila euro annui di un super attico dove l’allora pm viveva vicino al Duomo. Il tutto, secondo l’accusa, facendo delle pressioni indebite. E cioè prospettando a Morenghi, interessato a mettere in commercio un integratore alimentare, che altrimenti in Procura «può capitare di tutto alle aziende con l’inchiesta “sbagliata”».

La vicenda determinò un procedimento penale a Brescia per tentata induzione indebita con la condanna di Esposito a 2 anni e 4 mesi in rito abbreviato in primo e secondo grado. Tentata induzione indebita confermata poi anche dalla Cassazione. Al Csm i difensori di Esposito sollevarono allora la questione di costituzionalità. Se, cioè, si dovesse applicare la sanzione della rimozione al magistrato che sia stato condannato in sede disciplinare per aver ottenuto, direttamente o indirettamente, prestiti o agevolazioni da determinati soggetti o che sia incorso nella interdizione dai pubblici uffici in seguito a condanna alla pena detentiva per delitto non inferiore a un anno di reclusione la cui esecuzione non sia stata sospesa. La Consulta nel novembre del 2018 dichiarò la legittimità costituzionale di tale norma.

La consiliatura al Csm, quella di Luca Palamara, nel frattempo era terminata e il processo era stato incardinato nel nuovo collegio presieduto da David Ermini. Relatore è ora il togato di Unicost Marco Mancinetti. Difensore di Esposito, il presidente del Tribunale di Siena Roberto Carrelli Palombi. La prossima udienza è prevista il 7 luglio. Visto il clamore si preannuncia il pubblico delle grandi occasioni, distanziamento sociale permettendo.