Nel Si&No del Riformista di oggi spazio al Carrello Tricolore avanzato dal governo Meloni per contrastare l’inflazione e il caro prezzi. Favorevole Luca De Carlo, senatore di Fratelli d’Italia, secondo cui l’iniziativa “aiuta sia le famiglie in difficoltà che i produttori italiani”. Contrario Alessio De Giorgi, direttore de IlRiformista.it. “E’ una logica nefasta tipica di un’economia para-socialista” il suo pensiero.

Qui il commento Alessio De Giorgi:

Fa sempre (tristemente) sorridere quando la comunicazione politica si inventa cose come quelle del “carrello tricolore”. E sì, parlo di comunicazione, perché queste iniziative sono innanzitutto comunicative. Ma entriamo nel merito prima di arrivare alle conclusioni. Il problema c’è eccome. Il costo del carrello medio al supermercato è oggettivamente aumentato, si stima che in due anni ci sia stata una crescita di circa il 25% dei prodotti alimentari, le famiglie fanno fatica a fare la spesa e orientano peraltro i loro consumi su prodotti di basso prezzo e/o di minore qualità, con ovvie ricadute negative sui loro consumi alimentari ed in ultimo sulla loro salute. Una qualche soluzione va trovata. Ma la soluzione non è semplice. Puntare il dito contro l’ultimo anello della catena, cioè la distribuzione alimentare, è la cosa più semplice da fare – con quella logica di scovare il nemico che sta animando larga parte dell’azione quotidiana di questo governo – ma anche la meno corretta e la più inutile. Perché i problemi stanno in tutta la filiera dell’alimentare: dal produttore ai costi dell’intermediatore, dai fornitori di materie prime al produttore ai costi del trasporto e così via. Del resto aumentano acqua, energia, carburante, le materie prime scarseggiano: perché mai dovremo pensare che i prezzi possano stare fermi?

La soluzione però non può stare certo nel tentare, impresa impossibile, di contenere i costi dando per scontato quasi che ci siano utili da comprimere, ci sia del “grasso” da eliminare, ci siano imprenditori che in poche parole si stanno approfittando del generale aumento dei prezzi per aumentare i loro ricavi. Questa logica nei confronti delle imprese di produzione, di intermediazione, di commercializzazione, di trasporto è nefasta e semmai tipica di una economia para-socialista: non ci sono imprenditori da spremere, ma semmai una filiera sulla quale intervenire non con annunci ma con interventi di medio-lungo periodo per correggerne le storture. Tanto più che se parliamo di filiera dell’ortofrutta, uno dei principali settori messi sul banco degli imputati in questi mesi, parliamo di realtà imprenditoriali più piccole che medie: non ci sono in Italia produttori di grandi dimensioni, ma imprese minuscole e di media grandezza che a loro volta devono affrontare gli aumenti dei prezzi dei loro fornitori e, banalmente, far quadrare i conti.

La soluzione sta a monte in realtà. I salari in Italia sono fermi. Sono drammaticamente fermi. Sono ben più fermi che in altri Paesi. Anzi, a dirla tutta, sono scesi negli anni, perché l’inflazione li ha erosi e alcune spese fisse significative per le famiglie italiane sono cresciute a dismisura: basti pensare ai costi dei mutui per l’acquisto della casa o a quelli degli interessi per i prestiti ad imprese e famiglie. L’unico vero intervento in questi anni di aumento dei salari sono stati i famosi 80 euro introdotti dal governo guidato da Matteo Renzi nel 2014: nei dieci anni precedenti e nei 9 anni successivi nessun intervento altrettanto significativo è stato mai deciso. Ed i salari sono fermi per un motivo soprattutto: il cuneo fiscale è troppo alto nel nostro paese, ben più alto della media OCSE. È tra i più alti d’Europa. In sostanza gli imprenditori hanno troppi costi rispetto ai salari bassi che danno. La soluzione quindi è una sola: aumentare i salari. E per farlo le strade sono tante: puoi decidere ad esempio la decontribuzione degli aumenti di stipendio, puoi procedere con la detassazione di una quota di utili distribuiti in azienda, puoi definire una riduzione del cuneo fiscale tout-court, puoi scegliere di percorrere altre strade come quella degli 80 euro. Ma se non aumenti gli stipendi, se non dai soldi in tasca in più alle famiglie – specie a quelle di un ceto medio sempre meno medio – per sopperire agli aumenti, non avrai mai ottenuto un risultato efficace.

Tutto il resto rischia di essere propaganda. È annuncite e propaganda. Come è propaganda sentire il Ministro Adolfo “Urss” Urso annunciare gongolante che col carrello tricolore calerà l’inflazione, con un’epica che ricorda quando tre ragazzi andarono sul balcone di Palazzo Chigi per annunciare che era stata abolita la povertà. Come è propaganda quella delle aziende che, con abile mossa pubblicitaria, annunciano pomposamente di aver aderito al “carrello tricolore”, quando magari poi non è così, visto che sono due anni che aumentano forsennatamente i prezzi.

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva