«Protezione è una vera parola di sinistra. Sicurezza molto meno». Parte da questo assunto, netto e impegnativo, l’intervista a Mario Giro, già vice ministro degli Esteri con delega alla Cooperazione internazionale nei governi Renzi e Gentiloni, tra le figure di primo piano della Comunità di Sant’Egidio.

Nell’intervista concessa a questo giornale, Marco Minniti ha difeso e argomentato l’idea – la praticò da ministro degli Interni – che “sicurezza è parola di sinistra”. Cosa è che non la convince?
È il solito vecchio discorso. La parola sicurezza è parola ambigua, già molto abusata. Preferisco parlare di protezione, soprattutto in questa fase di Covid in cui abbiamo visto quanto c’è bisogno di un nuovo intervento pubblico. Abbiamo bisogno di far sentire ai cittadini che lo Stato non sta lì soltanto come guardiano ma come una protezione nei confronti dei vari bisogni. Pensiamo soltanto alla sanità. Questo vecchio dibattito se la sicurezza sia di sinistra o sia di destra, secondo me è già stato troppo abusato, ed è giusto trovare un nuovo paradigma, un nuovo vocabolario politico, anche perché la sinistra deve ricostruirsi sulla base di una nuova dottrina. In questi ultimi anni abbiamo assistito al divorzio tra la democrazia e il pensiero liberale. Il liberismo è stato “sequestrato” dalle autocrazie, dai sistemi autoritari che hanno usato le nostre chiavi per entrare nel nostro mondo. Noi glielo abbiamo concesso e adesso si può essere favorevoli al libero mercato, contro i lacci e lacciuoli, per la libera impresa pur essendo non democratici. Quindi la sinistra deve trovare nuovi valori fondamentali di difesa della democrazia. Per questo esiste il rischio di un neofascismo che i liberali non possono ammettere per le ragioni a cui ho accennato. In questo senso, la sinistra deve riappropriarsi dei suoi valori e non usare quelli degli altri. Come sinistra non abbiamo bisogno di utilizzare i valori degli altri. Abbiamo i nostri, dobbiamo riscoprirli.

A proposito di riscoperte. In un articolo di apertura di questo giornale a cura dell’ex procuratore di Torino Armando Spataro, c’è un concetto molto forte e di drammatica attualità: “Salvare i naufraghi è un dovere. Opporsi è illegale”. E aggiunge: “La solidarietà non è un sentimento. È un diritto”. Ma questo diritto lo stiamo praticando?
La risposta è no. Non l’abbiamo praticato per tanti anni, abbiamo criminalizzato le Ong, e mi si dovrebbe spiegare cosa ne è di quello. Abbiamo creato le premesse per i decreti Salvini. Abbiamo usato i valori degli altri rincorrendo la destra, che non sono quelli della democrazia. Spataro ha pienamente ragione, e io condivido totalmente quanto ha affermato nell’articolo citato.

Ormai si ripete in ogni dove che dopo la crisi pandemica, tutt’altro che risolta, nulla sarà più come prima. Vista dal fronte della solidarietà, come andrebbe declinata questa affermazione?
La solidarietà è il collante del sistema democratico. Se non c’è solidarietà non esiste democrazia. Noi dovremmo ripartire da lì. Invece di criminalizzare le Ong e rendersi conto del male profondo che è stato commesso andando nel senso della cultura del sospetto e del complotto, innestata con quelle decisioni cominciate con un governo di centrosinistra, purtroppo. Noi dovremmo esserne coscienti e correggerci. E riscoprire quali sono i valori dell’integrazione e della convivenza, che sono valori fondamentali della sinistra e che invece abbiamo lasciato da parte in nome della sicurezza, perché convivere e integrare è sempre rischioso. Per questo sostengo il termine protezione. Quale discorso può convincere il cittadino confuso che ascolta sovranisti, populisti, neofascisti nostrani, se non quello, ad esempio, dell’Europa e dell’euro che ci proteggono? La protezione è un dato oggettivo mentre la sensazione di insicurezza è spesso un termine soggettivo. In Italia ne abbiamo la riprova: un Paese con basso tasso di criminalità, a parte alcune zone che sappiamo, in cui la sicurezza si confonde con la percezione.

Questo è il Paese delle lacrime di coccodrillo, del pianto del giorno dopo. L’ultima riprova è la tragedia del piccolo Joseph. Non c’è un po’ da vergognarsi di questi piani postumi, visto che poi le cose non si modificano?
Abbiamo impedito di aiutare chi aiutava. Da quel momento si è creata una situazione molto più pericolosa per chi fugge. Ci sarebbe innanzitutto da fare autocritica da parte di chi ha contribuito a lasciare compiersi la criminalizzazione delle Ong, ponendosi oggettivamente contro la solidarietà. Penso che noi dobbiamo lavorare tutti insieme per ricreare le condizioni di una solidarietà concreta. Che non è un sentimento, ha ragione Spataro. È una delle condizioni della democrazia vera. Protezione e giustizia: questo è il binomio indissolubile su cui puntare. Il che significa, ad esempio, rilanciare, in chiave europea, i corridoi umanitari. Dico questo non guardando solo all’Italia ma abbracciando un orizzonte più ampio, la situazione globale. Altrimenti davvero finiamo nelle mani dei sistemi autoritari che sfruttano il libero mercato e distruggono la democrazia. Questo lo dobbiamo capire profondamente. Dobbiamo capire che il liberismo di una volta non va più bene, si è compiuto questo divorzio e bisogna andare oltre e ritrovare le ragioni della democrazia. Non mi vanno più bene i discorsi sulla sostenibilità economica così come non mi vanno bene quelli sulla percezione dell’insicurezza. Qual è la crisi della sanità italiana? Non è nelle punte di eccellenza, che tali rimangono in questa crisi pandemica, ma è nella media. E questo è tipico di un Paese non sviluppato.

Un’altra delle frasi fatte che hanno segnato il nostro recente passato pre pandemico, è “aiutiamoli a casa loro”, riferendosi ai migranti. Lei quella “casa”, penso all’Africa, l’ha conosciuta e frequentata come pochi altri, e l’ha raccontata anche nel suo ultimo libro: Global Africa. Anche qui: non c’è stata tanta retorica e strumentalità in questa affermazione?
Aiutarli a casa loro, sia visto da destra che da sinistra, è chiaramente un modo finto di procedere. La prova è che non li stiamo aiutando a casa loro. Siamo stati presi dall’ossessione migratoria e abbiamo cercato soltanto di chiudere le nostre frontiere, in vari modi e senza peraltro riuscirci, né da parte della destra né quando ci ha provato la sinistra. Questo dipende dalle decisioni che prendono gli africani stessi. Non è solo una questione di aiuto, ridurlo a questo è proporre un approccio paternalistico. Avere una partnership giusta con l’Africa sarebbe utile per le nostre piccole imprese. Siamo noi a doverci aiutare a casa loro, grazie a loro. L’Africa non aspetta nessuno.

Questa Europa che continua a guardare verso Sud come se dovesse far fronte a una minaccia, non è un’Europa che si costringe alla marginalità?
L’Europa è una potenza riluttante, che pensa soltanto a se stessa e guarda solo a sé. Basti vedere quanto siamo nervosi nei confronti della pandemia. Non sappiamo cosa decidere. Siamo per il lockdown, siamo contro il lockdown. Gli stessi che adesso non lo vogliono, all’epoca lo volevano e viceversa. Siamo riluttanti e pensiamo di cavarcela da soli, presi da una “sindrome svizzera”, chiusi dentro le nostre frontiere, oppure a tremare come se fossimo davanti a un’invasione e a invocare sempre più sicurezza. È un mantra che non finisce più, è un circolo vizioso. Pensiamo invece alla stabilità globale, all’insicurezza dei poveri, pensiamo alla sicurezza di quelli che non l’hanno mai avuta, all’insicurezza delle guerre. Possiamo creare per la nostra società una rete di protezioni, cosa che i regimi autoritari non sanno fare ma noi dovremmo saper fare. Bisogna cambiare completamente paradigma. Il nesso fondamentale è il divorzio tra liberismo e democrazia. È da lì che occorre cominciare un ragionamento nuovo.

Lei parla di paradigmi nuovi, e di una radicalità che la sinistra sembra aver smarrito, come se fosse una pecca da cui mondarsi. Poi però si fanno, almeno a parole, ponti d’oro alle encicliche del Papa. Siamo alla doppia morale?
È così. Perché Papa Francesco è radicale, è l’unico che indica una via, anche per l’economia. È l’unico che è preoccupato e lo scrive. Ciò che non si ha il coraggio di dire lo si attribuisce al Papa che invece ha il coraggio di dire la verità. Guardiamo alla situazione degli Stati Uniti, con una destra che non accetta il verdetto della democrazia: è una democrazia in crisi ma della quale abbiamo assolutamente bisogno. Biden ha grandi responsabilità ora, per tutto l’Occidente, e l’Europa deve aiutarlo. Quanto a noi europei dobbiamo sapere che il nostro primo obiettivo è difendere la democrazia e radicarla nella lotta alle disuguaglianze. Questa è la vera insicurezza: la disuguaglianza. Altrimenti avranno vinto i sovranisti, che parlano di difesa, che usano termini militari, parlano di razza, di supremazia e vanno nella direzione opposta a quella che noi dovremmo imboccare.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.