Il processo Trattativa Stato-mafia condizionò la nomina dei capi degli uffici giudiziari palermitani. A fare la clamorosa rivelazione è stato ieri l’ex zar delle nomine Luca Palamara davanti alla Commissione antimafia presieduta da Nicola Morra.

Tutto ha inizio nel 2012. La poltrona del procuratore di Palermo è occupata da Francesco Messineo. Il magistrato è in difficoltà per alcune vicende che riguardano il fratello. Al Csm aspettano solo un passo falso per sostituirlo. La Procura generale, invece, è vacante. Per quel posto hanno fatto domanda Roberto Scarpinato e Guido Lo Forte, da sempre vicino a Gian Carlo Caselli. Palamara e Giuseppe Pignatone, allora procuratore di Reggio Calabria, decidono di contattare Riccardo Fuzio, membro del Csm che poi diventerà procuratore generale della Cassazione. Con lui si decide la strategia: Palamara dovrà convincere Lo Forte a ritirare la candidatura, in modo da spianare la strada a Scarpinato, in cambio dell’assicurazione, garantita da Magistratura democratica, che avrebbe preso il posto di Messineo. Md voleva Scarpinato ma la sua nomina non era affatto scontata: era necessario che Unicost, la corrente di Palamara, convergesse nella votazione su di lui, e che Md ricambiasse il favore su Lo Forte nella successiva votazione.

Da casa di Fuzio Palamara chiamò allora Lo Forte assicurandogli la tenuta di questo patto, legittimato dalla presenza di Pignatone, che tra l’altro era suo amico. Pignatone, adesso presidente del tribunale supremo pontificio, in quel momento era in ottimi rapporti con Giorgio Napolitano. Lo Forte revocherà la domanda e Scarpinato andrà alla Procura generale di Palermo. L’anno successivo, il 2013, Messineo va in pensione. In prossimità del Plenum che doveva, come da accordi, varare “l’operazione Lo Forte”, arriva però al Csm una lettera di Napolitano che invita a rispettare nelle nomine l’ordine cronologico, che non vede Palermo al primo posto. La nomina di Lo Forte slitta, e siccome il Csm è in scadenza tutto viene rinviato. Lo Forte era considerato un magistrato sostenitore dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, che in quei giorni aveva lambito proprio il Quirinale.

Sul tema della trattativa, racconta Palamara, c’è stata sempre una accesa discussione interna alla magistratura.
Arriva il 2014 e nel nuovo Csm nessuno è a conoscenza dell’impegno formale di Palamara, Pignatone e Fuzio con Lo Forte per la Procura di Palermo. Lo Forte è sicuro che Palamara starà ai patti, ma la nomina diventa subito motivo di scontro perché arrivano anche le candidature di Francesco Lo Voi e Sergio Lari. Lari era il procuratore di Caltanissetta, molto attivo sul fronte delle indagini della trattativa Stato-mafia. Lo Voi era a capo di Eurojust a Bruxelles. La domanda che tutti, ricorda Palamara, si pongono è su cosa farà il nuovo procuratore nei confronti dell’inchiesta Stato-mafia sulla quale erano molto attivi due sostituti, Vittorio Teresi e Nino Di Matteo. Il sasso nello stagno lo getta proprio Teresi. «Non vorrei – dichiara – che la scelta del nuovo procuratore dipendesse dalla sua posizione sulla trattativa». In altre parole, dice: attenzione che qui non siamo disposti a insabbiare.

È il segnale che la situazione sta sfuggendo di mano, anche a Md. Palamara decide di parlarne con il loro referente in Sicilia, Piergiorgio Morosini, che era stato il gip del processo Stato-mafia. «Devi tenere a bada i tuoi, gli accordi su Lo Forte vanno mantenuti», gli dice Palamara. Pignatone nonostante sia molto amico di Lo Forte convoca Palamara e gli dice: «Si va su Lo Voi». Su decisioni di questa portata il Quirinale è sempre in partita, ricorda Palamara. Per sostenere Lo Voi si costruisce una rete che coinvolge il vice presidente del Csm Giovanni Legnini e la consigliera laica in quota Sel Paola Balducci. Palamara e Unicost sono decisivi: se non si accordano con la sinistra giudiziaria per la nomina di Lari, Lo Voi risulterà il candidato vincente. La trattativa è drammatica, Palamara la ricorda come uno dei momenti più difficili della sua carriera. Farà credere a Lo Forte che – come da promessa – non lo mollerà, inventandosi un trucco concordato con le altre correnti: far andare a vuoto la prima votazione, in modo che alla seconda, per meccanismi interni, Lo Voi sia sicuro di passare.

Durante il Plenum le parole più vere furono pronunciate da un magistrato autentico e genuino, il consigliere eletto come indipendente nella liste della sinistra giudiziaria Nicola Clivio, finito al Csm quasi per caso: «Signori, sono venuto a Roma per vedere come funziona il potere. Non avrei mai detto che Lo Voi, che ha molti meno titoli degli altri, potesse vincere la sfida per Palermo. Oggi l’ho capito come funziona il potere e sono rimasto sconvolto». Clivio, le cui parole rimasero scolpite nella testa di Palamara, si riprenderà a fatica da quel giorno. Ma la questione Palermo non si chiuse quel giorno. Lo Forte impugna la delibera di nomina del Csm e il Tar accoglie il suo ricorso. Si riapre la corsa per Palermo. A Lo Voi non resta che fare appello al Consiglio di Stato e sperare in un ribaltamento della sentenza del Tar. Pignatone rivelerà a Palamara di avvertire strani movimenti intorno a questa vicenda e di temere che anche il Consiglio di Stato possa dare ragione a Lo Forte.

La pratica finisce alla Quarta sezione presieduta da Riccardo Virgilio, che nei racconti di Pignatone era a lui legato da rapporti di antica amicizia. I due, prosegue Palamara, si incontreranno una mattina presso la sua abitazione. Passano poche settimane e arriva la sentenza di Virgilio, favorevole a Lo Voi, che potrà così insediarsi alla Procura di Palermo. Virgilio, invece, qualche tempo dopo verrà arrestato in un procedimento per corruzione in atti giudiziari.