Più che “Berlusconi che perde pezzi”, le ultime 36 ore potrebbe segnare la fine dell’alleanza di centrodestra. Almeno di quella creatura a tre teste che abbiano conosciuto finora seppur precaria e a volte tenuta in piedi con gli spilloni per via della deriva sovranista e populista di Lega e Fratelli d’Italia.  È stato detto e scritto più volte in questi anni, almeno dal 2018, che Forza Italia, la sua storia liberale, moderata ed europeista, c’entra poco o nulla con la deriva delle destre europee. A differenza delle altre volte però, ci sono almeno due fattori che fanno essere questo momento di crisi diverso da tutti quelli precedenti.

Il primo: lo strappo tra Salvini e Berlusconi è troppo profondo per essere rimarginato visto che stavolta la Lega sta “attaccando” o meglio “non proteggendo” le aziende Berlusconi. Il secondo: mai come in queste ore per Forza Italia si apre la possibilità di contare qualcosa dopo nove lunghi anni lontana dal governo e dalle stanze dei bottoni.

Lo strappo più profondo inizia mercoledì sera in commissione Trasporti e Telecomunicazioni alla Camera dove Lega e Fratelli d’Italia hanno deciso a tavolino di complicare la vita a Mediaset. Prosegue ieri mattina quando Salvini fa i complimenti al procuratore Gratteri («sempre benvenuto chi fa pulizia») e gioisce per l’arresto del presidente del Consiglio regionale calabrese, Mimmo Tallini, espressione del centrodestra ma nel giorno dell’arresto «uno che mi ha sempre attaccato». Lo strappo tocca la carne viva quando a metà giornata arriva la comunicazione che tre deputati passano al gruppo Lega. Si tratta di Laura Ravetto, giovane avvocato che sicuramente deve tutta la sua carriera politica a Berlusconi; Maurizio Carrara e Federica Zanella. È una tripletta pesante. Che però va letta in controluce per scoprire le difficoltà, eventuali, non sono solo per Berlusconi. Anche Salvini, come dicono in Forza Italia, «sta trovando feu rouge da tutte le parti». Semafori rossi.

Per leggere queste 36 ore e le altre che seguiranno perché la storia non finisce qui, occorre avere presente che il Pd punta comunque a fare un tagliando alla squadra di governo, per tirare dentro, appunto, «tutte le energie migliori del Paese necessarie ad attraversare la fase più difficile di sempre». Non è oggi quel momento, più facile a gennaio. Quando sarà, però, accadrà tutto molto in fretta, senza troppi tatticismi e il ruolo di Giuseppe Conte non è detto che sia in forse. Forza Italia ha capito il momento, la moral suasion del presidente Mattarella che chiede «unità e coesione» crea il contesto giusto e per quanto Berlusconi si spertichi nel dire che «dialogare non vuol dire governare insieme» è molto vicina all’ingresso in una cabina di regia di unità nazionale per la gestione Covid. Che vuole dire “gestire” la legge di Bilancio appena arrivata in Parlamento, i 209 miliardi del Recovery fund e qualche decine di nomine nei prossimi mesi.

Insomma, Salvini e Meloni – che pure dicono di voler collaborare ma siamo al prendere o lasciare – sentono odore di inciucio. Il frutto dell’inciucio sarebbe proprio la norma antiscalata Vivendi (per altri norma salva Mediaset) approvata la scorsa settimana al Senato tra sospetti e veleni, e mercoledì sera, appunto, approdata col decreto Covid in seconda lettura alla Camera. E qui sono iniziati i giochi. Succede infatti che il capogruppo della Lega Molinari ha firmato, insieme con Fratelli d’Italia la pregiudiziale di costituzionalità sull’articolo 4bis che riguarda appunto la norma “salva Mediaset” o “anti scalata Vivendi”, dove Mediaset è italiana e Vivendi francese.

Salvini e la Lega si sono già astenuti al Senato ed è chiaro che alla Camera cercheranno di stuzzicare su questo punto l’orgoglio grillino. Insomma tutto per allontanare Forza Italia da una possibile collaborazione col governo Conte. Peccato che proprio ieri sera il ministro Patuanelli, faro dei 5 Stelle, abbia rivendicato quell’emendamento spiegando che è «finalizzato a tutelare un’azienda italiana e non di Berlusconi». Comunque, quando Berlusconi l’altra sera ha saputo che Salvini s’era messo di traverso, ha sentenziato: «Matteo ci ha dichiarato guerra».

Figurarsi cosa è successo ieri mattina quando alla notizia dell’arresto del presidente del Consiglio regionale calabrese, più altre 19 persone tra cui dipendenti della regione, con l’accusa di associazione mafiosa e scambio elettorale, Salvini ha prima gioito per l’arresto e poi ha attaccato Forza Italia. «I miei rapporti con Forza Italia? A me interessano i rapporti con gli italiani. L’appello di Mattarella è alla collaborazione, non all’inciucio o ai rimpasti. Non posso neanche immaginare scambi di favore su Mediaset». Tutto questo accadeva ieri intorno alle 10 del mattino. Un paio d’ore dopo è arrivata la lettera dei tre deputati. Ravetto, Zanella e Ferrara «sono a disagio per gli ammiccamenti con il Pd» e trovano che «la forza propulsiva sia ormai nella Lega».  In Forza Italia si liquidano i tre addii con «opportunismo fuori sincrono». Non deve sfuggire infatti che la Lega nazionale di Matteo Salvini perde pezzi al sud. E non solo.

La scorsa settimana sono usciti dal gruppo Lega quattro consiglieri comunali a Prato. In Umbria, a Spoleto via due consiglieri e due assessori. In Campania, a Torre Annunziata un altro addio. In Veneto il segretario regionale Fontana, fedelissimo di Salvini, ha lasciato l’incarico creando qualche problema a Zaia che deve tenere a bada il virus. Non è finita: in pochi mesi due parlamentari (Claudio Barbaro e Carmelo Lamorte) e un europarlamentare (Andrea Caroppo) hanno lasciato il gruppo della Lega. È probabile che tra un po’ traslochino dai Misti a Fratelli d’Italia, sono quei tunnel che si aprono appena letti risultati di importanti tornate elettorali. Salvini non si occupa di questo. Teme le liaison dangereuse di Forza Italia. Chissà cosa ne pensa Giancarlo Giorgetti che della collaborazione politica, almeno in certi momenti della vita, è un convinto sostenitore. Giorgia Meloni osserva la scena, tace e si alza le maniche per l’ennesima mediazione. Sempre più dura, però.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.