Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Arnaldo Casali, giornalista e scrittore, scritta dopo la pubblicazione su ilriformista.it dell’articolo dal titolo ‘Terni non ama San Valentino: la festa mancata, l’occasione sprecata, i Baci Perugina’, nel quale si accennava al legame del santo con la città umbra, ai tentativi mancati o falliti di valorizzare questa ricchezza e ai progetti in campo per il futuro. Quella di Casali è una provocazione e insieme un racconto sulla storia del santo, il suo legame con le città di Terni, Roma e Genova. Il testo:

San Valentino di Terni. Questo il mantra: San Valentino di Terni. Mi raccomando, di Terni, aggiungere sempre “di Terni” dopo aver nominato san Valentino, altrimenti la gente chissà a chi pensa. Poi basta; si può anche finire il discorso e non dire nulla né del santo né di Terni. L’importante è rispettare la formula San Valentino di Terni: come se ce ne fossero altri, di santi celebri con questo nome. La reazione più comune, nella città dell’acciaio, all’ampio servizio pubblicato sul Riformista, è stata l’insofferenza. Per la prima volta un giornale nazionale mette il Santo dell’Amore in relazione con la sua terra, e l’istinto del ternano medio è quello di mettersi sulla difensiva.

Perché quando si parla di San Valentino, al provinciale, l’unica cosa che interessa è far sapere che era di Terni. L’unica preoccupazione è che non si pensi che il Patrono degli innamorati sia un altro san Valentino. San Valentino, quello celebrato il 14 febbraio, era il vescovo di Terni. Che sia ben chiaro.

Il paradosso è che in realtà lo sanno già tutti. Certo, le centinaia di reliquie sparse in giro per il mondo qualche confusione la creano (il teschio custodito a Santa Maria in Cosmedin a Roma, ad esempio, appartiene a un omonimo che non c’entra assolutamente nulla), ma la realtà è che quando si cercano informazioni sul protettore degli innamorati – su internet come su qualsiasi enciclopedia – è chiaro da subito come si tratti del vescovo di Terni. E se al di fuori di Terni non lo sa nessuno è solo perché, a Terni, non si fa nulla per farlo sapere.

La cosa più curiosa, poi, è che se andiamo a studiare, scopriamo che non è nemmeno vero. Già, perché in realtà dei tanti Valentino in giro per la storia quello ternano c’entra meno di tutti con la festa degli innamorati. A dispetto dei luoghi comuni, infatti, è proprio lui ad aver “scippato” il titolo ai suoi omonimi. Chi è dunque il vero protettore degli innamorati?

Andiamo con ordine: sul rapporto tra san Valentino di Roma e quello di Terni si discute da decenni: sono uniti dalla morte (entrambi il 14 febbraio sulla via Flaminia), ma il primo era un prete ucciso tra il 268 e il 270, il secondo un vescovo martirizzato – secondo gli studi più recenti – tra il 342 e il 347. Nessuna fonte riporta invece l’anno 273 tramandato dalla tradizione. La storia del Valentino romano è raccontata nella Passione di Maris, Marta, Audiface e Abacuc del IV secolo, mentre quella del ternano è narrata nella Passio Sancti Valentini scritta intorno al 725. Nel frattempo nel Martirologio Gerominiano – compilato tra il 431 e il 450 – viene riportato il martirio di un Valentino di Terni sulla Flaminia, senza precisare né la data di morte né la qualifica religiosa.

Alcuni storici sostengono che si tratti di un unico personaggio, legato ad entrambe le città e del quale si sono sviluppati due culti paralleli (le catacombe di San Valentino a Roma, la Basilica a Terni), altri – al contrario – propendono per due figure diverse che si sono sovrapposte a causa dell’omonimia. Di fatto abbiamo due tradizioni, due iconografie, due diverse provenienze delle reliquie oggi disseminate nel mondo. Quel che è certo, però, è che tra i due il Valentino il più celebre è senza dubbio quello di Terni, venerato in tutta Europa come santo taumaturgo, e in alcune regioni come protettore degli epilettici.

La più antica delle leggende romantiche (quella della storia d’amore con la figlia cieca del suo carceriere) fa però riferimento al prete romano, non al vescovo ternano. Tra i due litiganti, comunque, quello che non gode di sicuro è il terzo, e cioè il san Valentino di Genova: il vero convitato di pietra alla festa degli innamorati.

Il luogo comune ne riconduce le origini ai Lupercali romani, che si celebravano tra il 13 e il 15 febbraio e che papa Gelasio avrebbe cristianizzato nel 496 istituendo il giorno di San Valentino. La verità, però, è che Gelasio ha sì abolito i Lupercali, ma non li ha affatto sostituiti con una festa cristiana: nessun papa fino al 2014 si è mai sognato di celebrare la festa di San Valentino, ricorrenza squisitamente laica che niente ha a che fare con le solennità liturgiche. E’ stato infatti Francesco il primo ad incontrare, quel giorno, le coppie di futuri sposi nel corso di una cerimonia organizzata da Vincenzo Paglia, successore di Valentino come vescovo di Terni e allora presidente del Pontificio consiglio per la famiglia.

L’origine più probabile della festa degli innamorati ha invece radici più letterarie che religiose, e la troviamo attestata per la prima nel medioevo inglese. Geoffrey Chaucer, vissuto tra il 1343 e il 1400 cita infatti in tre sue opere la festa di San Valentino come il giorno in cui gli uccelli si accoppiano. Attenzione, però: l’accoppiamento degli uccelli avviene in primavera e non certo in pieno inverno, e il san Valentino a cui il padre della letteratura inglese si riferisce è il vescovo di Genova, la cui solennità viene celebrata il 2 maggio.

Passano solo pochi decenni, però, e già nel 1391 John Clanwowe anticipa la festa al 14 febbraio. La confusione delle date nasce, probabilmente, proprio dal fatto che il San Valentino di Terni è molto più importante e venerato di quello di Genova (morto nel 325 ma di cui non si sa praticamente nulla) e proprio grazie alla sua celebrità riesce a strappare al collega ligure il titolo che lo renderà ben più celebrato, ma assai misterioso. Insomma il vescovo ternano è andato all’estero a scippare un tesoro inestimabile che ha riportato in patria. Di quel tesoro, però, nella sua città a nessuno importa niente: l’unica cosa che interessa ai ternani è che il Patrono non si allontani dalla sua basilica.

Antonio Lamorte