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Cos’è una donna. Dopo anni di mainstream, ora se ne deve parlare. E con serenità

Avvocato, Giornalista Pubblicista e Presidente "Consiglio per la Parità di Genere"
Cos’è una donna. Dopo anni di mainstream, ora se ne deve parlare. E con serenità

Ora che il tifo da stadio pare essersi placato sul caso della pugile Imane Khelif, sarà forse possibile affrontare con più freddo raziocinio il tema del transgender o comunque di tutte le declinazioni biologiche femminili (in primis correlate alle competizioni sportive).

Temi che, al di là della propria personale sensibilità, affondano nella fisica umana che comunque possiede un certo passo fermo. Diverso se il femminile fosse solo un’opinione, uno stato mentale, un’auto percezione di sé. In tal senso, merita rispolverare cosa stava per diventare legge nel nostro Paese nel 2021  “per identità di genere si intende l’i­dentificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corri­spondente al sesso, indipendentemente dal­ l’aver concluso un percorso di transizione”. Ne ricordate?

Allora ci fu un’enorme mobilitazione a favore di questa “maggior tutela” da garantire ai discriminati ma, di fatto, sarebbe stato un ingrediente che avrebbe soverchiato ulteriormente le basilari regole umane che distinguono le donne dagli uomini e quindi, conseguentemente, i loro generali diritti. E’ legittimo allora chiedersi cosa ne sarebbe oggi se quel capoverso fosse passato? è plausibile pensare che ora staremmo dibattendo non solo del caso di Imane Khelif ma anche di chi, a prescindere dalla biologia, si sarebbe sentito donna?

Porsi questo quesito oggi è serenamente possibile. Ieri sarebbe stato avveniristico, fantascienza o disobbedienza pura in quell’anno che ancora soffriva l’onda lunga dei mainstream linguistici. Allora vigeva il cosiddetto pensiero unico, quello che violato portava alla pubblica flagellazione, alla classificazione, al giudizio e che faceva quadrato attorno ad alcuni dogmi senza possibilità di criticità.

Lo sa bene la sottoscritta che, tutelando ordinariamente i diritti delle donne, insieme a molte associazioni femminili si espresse dubbiosa verso tale apertura e lo sanno bene anche coloro che si espressero dubbiosi anche verso altri dogmi allora molto in voga (come, ad esempio, contro la perentorietà del green pass, bussare alla porta del dileggio scagliato contro il filosofo Massimo Cacciari e lo storico Alessandro Barbero).

Oggi il quesito si pone (a meno che non si fissino leggi differenti a comparti stagni) e le appena concluse Olimpiadi lo impongono anche come naturale riflesso di una scienza che fa chilometri rispetto ad un’etica ferma al palo: che requisiti deve avere una persona per potersi iscrivere alle competizioni femminili? In altri termini, cos’è una donna?

Anche il caso della transgender italiana Valentina Petrillo, sportiva ipovedente della specialità corsa, chiama giustizia. Sì perché assodato che l’essere cresciuta uomo, o avere valori ormonali maschili come la pugile Khelif, determina un probabile vantaggio “storico” di prestanza fisica, può dirsi equa la sua partecipazione in competizioni con donne che di tale vantaggio non ne hanno mai goduto? Può tale concetto poi mutuarsi nel vissuto ordinario dove l’attuale Stato di diritto Italiano riconosce alle donne un generale status di “soggetto fragile” o ci si deve avviare verso dei necessari distinguo?

A questi temi, biologi ed esperti dovranno dare risposta ed a loro, con rispetto, ci si deve rimettere. Del pari i giuristi non dovranno più temere di affrontare a voce alta i temi etici che sempre più spesso disorientano la società. E’ nell’assenza di prese di posizione autorevoli che si infila l’insopportabile tifo da stadio fatto da ultras improbabili, contrappositori di professione, tuttologi punitivi ma, soprattutto, ignoranti: giuridicamente, scientificamente e umanamente.

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