E così hanno mandato tutto a puttane (ci si perdoni il francesismo, che ormai fa parte del lessico, ma è l’espressione più efficace).
E come al solito non ci interessa tanto cosa sia successo ma perché. Qualcuno dice che il regista, neanche tanto occulto, sia Putin che tiene al guinzaglio sia Conte che Salvini, con fiorenti generosità di rubli, e che sta consumando le sue vendette. Come la Gran Bretagna pagheremmo il ruolo risoluto, giocato nello scacchiere internazionale, in difesa dell’Ucraina e contro Mosca. Roba da John Le Carrè.
Il casus belli è stata la Lamorgese. Draghi non ha tagliato la sua testa e non ha regalato il Viminale alla Lega. Salvini, che di ministero dell’interno è arrapato come delle poppe del Papeete, se l’è legato al dito e si è portato dietro anche Berlusconi che ormai non si separa più dalla moglie simbolica e se la porta pure a vedere il Monza.
La Meloni è raggiante ma, dalle parti di Via Bellerio, Giorgetti e Zaia contro Salvini sputano fiamme come “draghi”, appunto, mentre in Forza Italia son rimasti in tre Berlusconi, la Fascina e Licia Ronzulli. E le ricostruzioni postume del Cavaliere sanno di mani sporche di marmellata. Una coalizione a brandelli.
Sorte non diversa tocca a Conte. “Sei contento stronzo? Ci hai ammazzati”, gli urlano da ogni dove i suoi come recita, nel film “Caccia a Ottobre Rosso”, il secondo al comandante del sottomarino russo che si autocolpisce con un suo siluro dopo un’abile manovra diversiva di Sean Connery al comando del celebre sommergibile sovietico.
E già perché in Italia la gente è inferocita, aveva fiducia in Draghi e se ne sentiva protetta, rassicurata dalla sua guida al timone, decisa e risoluta, nella difficile uscita dalle acque rese tempestose dal covid, ma ancora non calme per la guerra e la crisi energetica. Un paese nel disperato bisogno di tranquillità e normalità, che aveva pensato di aver trovato il suo nocchiero migliore.
Che poi questo voto, a una manciata di mesi dalla scadenza naturale e con le operazioni che cominceranno a ferragosto, a che cacchio serve se non a rompere le balle agli italiani non si sa.
E la percezione è che, a quelli che ne sono stati colpevoli, gliela faranno pagare per cui quello che nel centrodestra guadagnerà la Meloni lo perderanno Salvini e Berlusconi e resteranno come prima. Insomma un autogoal alla Comunardo Niccolai mentre, dalle parti dei 5Stelle, si parla di razza in via di estinzione esattamente come i canguri dopo gli incendi australiani. Per la verità tra i grillini è iniziato anche un compulsivo fenomeno di autolesionismo: il martellamento alle palline. Si sono resi conto che la riduzione dei parlamentari è stato il più clamoroso atto di cretinismo di tutta la storia della politica mondiale.
Dall’altra parte non stanno molto meglio. Oggi quelli del PD godono del vantaggio di passare per quelli che la cacciata di Draghi l’hanno subita anche se Letta, navigando nei giorni precedenti a vista, un giorno diceva una cosa e quello dopo un’altra.
Ora tocca capitalizzare il vantaggio e non fare autogoal concedendo il pareggio alla Meloni & partners.
Dovrebbero capire che il centro-sinistra più è centro e meno è sinistra e meglio è. Dovrebbero radunare le forze moderate e lasciare che siano loro a passare il colore su un’ampia coalizione e sarebbe per loro opportuno fare un passo indietro, lasciando la ribalta ai riformisti, specie a quelli che il riformismo se lo portano nella storia oltre che a quelli che se lo sono messo addosso solo di recente.
Dovrebbero capire che comunicare il nome del premier da subito sarebbe un altro goal, ma indicare uno del PD un autogoal.
Dovrebbero camminare con un profilo basso perché non sono simpatici a tutti e meno appaiono e meglio è. Perché la partita non si vince razziando quel trenta per cento di elettori che tradizionalmente votano a sinistra, (che è pari all’altro trenta che vota a destra). Il match si gioca sulla conquista di quel quaranta per cento di voto di opinione che una volta vota a destra, un’altra a sinistra, e a volte, come nel 2018, a soggetti terzi (i 5Stelle).
E il PD quel voto non lo prenderà mai perché, nella mente di quegli italiani, ormai è visto come un partito estremista, vittima della radicalizzazione di quel bipolarismo che una volta ha tanto voluto e tanto amato.
Per carpire quel voto bisogna mandare avanti, lasciare spazi e concedere ruoli ai moderati della coalizione.
Non sembra possibile che Draghi si schieri, in queste elezioni, alla guida di una coalizione tanto meno quella del centrosinistra. Neanche si comprende se sia disponibile a riprendere la guida del paese, solo ad elezioni celebrate, ponendosi alla guida di una maggioranza che non sia di unità nazionale.
Se lo dovesse fare tanto meglio, ma se non dovesse farlo sarebbe geniale cacciare l’asso dalla manica. Qualcuno che sia nuovo, che non sappia di minestra riscaldata, che non sia un Dem, che sia riformista. Non sempre il partito più grande ha il diritto automatico a prendere tutto e soprattutto a guidare il governo. Nella prima repubblica lo avevano capito altrimenti non avremmo avuto come Presidenti del Consiglio Spadolini e Craxi. Già, ma quella era la prima repubblica, ci capivano.
Magari poi andrà a finire che Letta farà l’alleanza con Conte e con i 5Stelle e la Meloni ringrazierà.
A proposito l’Italia, negli anni ottanta, il suo boom economico lo ebbe con un governo a guida socialista. Hai visto mai?
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