E’ un vero Onore avviare una rubrica dedicata alla parità di genere sotto l’egida della neo pubblicata Direttiva Europea (la 2024/1500 del 14 maggio scorso) che, desiderosa di dare un’accelerata alle tematiche femminili, parla a tutti e 27 i Paesi Europei per uniformarne gli strumenti.
In ogni Paese, difatti, esistono Autority a supporto e tutela della parità (da non confondersi con gli organi politici e di supporto come gli assessorati e le relative commissioni) che però come gemelli diversi, seppur figli della stessa madre, non hanno gli stessi identici geni con effetto così di frammentare l’obiettivo comune.
Una eterogeneità che non è solo transnazionale ma anche interna ad ogni singolo Paese dove, ad esempio in Italia, le Autority presenti (denominate Consigliere di Parità) nell’esercizio ad ogni livello della propria autonomia (nazionale, regionale e locale), e delle proprie differenti competenze, di fatto creano un coro polifonico non necessariamente armonico.
A questo si aggiunga che la tradizione social-lavoristica dei paesi dell’Est Europa porta con sé un bagaglio significativo circa la tutela della conciliazione casa-lavoro (in ossequio non tanto della condizione femminile in sé quanto della storica priorità al lavoro) differente rispetto ai Paesi dell’Ovest. O anche i Paesi del Nord Europa, maggiormente progressisti e liberali, hanno un approccio diverso su questi temi rispetto a quelli del Sud, più conservatori e ancora stretti all’insostituibilità materna.
A tal proposito, di enorme pregio e curiosità, vi è stato un interessante studio comparativo sull’evoluzione del “diritto di maternità”, perno della parità di genere, tra la storia italiana e quella slovena durante il Festival Internazionale “E’ Storia” del 2023 (nella città transfrontaliera del profondo Nordest di Gorizia): se nello Stato Italiano questo diritto affonda le proprie radici nel controllo sanitario fascista della salute pubblica e si è poi evoluto sulla spinta della liberazione e con i movimenti femministi degli anni ‘70, in Slovenia (fino al 1991 Jugoslavia) è stato in quegli anni unicamente disciplinato per risolvere l’assenza delle donne dal lavoro (per lo più in fabbrica).
Percorsi differenti dunque che oggi determinano sensibilità e priorità differenti tra Stato e Stato.
Le poche certezze sono le parole chiave della Direttiva: competenze, assistenza, indipendenza. Misure minime che devono essere garantite in tutti gli Stati membri con spesa a carico dei bilanci pubblici.
Non può non considerarsi, dunque, questa Direttiva come totalmente rivoluzionaria nel suo sguardo d’insieme, invocando con risolutezza principi fondamentali che però, ribaditi, paiono più rispolverati che non di prorompente novità. In ogni caso è chiara la sferzata di determinatezza.
Tutti gli Stati membri devono adeguarsi. Peccato solo dal 2026.
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