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La Speranza ci salverà per non annegare nel ridicolo di questi tempi

Giornalista e Docente - Milano
La Speranza ci salverà per non annegare nel ridicolo di questi tempi

Mentre affoghiamo concretamente nei primi temporali di fine estate e osserviamo lo sfregio che infliggiamo al territorio, privandolo dei suoi spazi e dei suoi naturali sfoghi, anneghiamo anche nel ridicolo con le ultime penose polemiche attorno al ministro della Cultura, il quale – paradosso nel paradosso – è assente dagli impegni segnati in agenda. Se ci pensate, nel giro di dieci giorni, mentre si riempiono pagine su un sottobosco politico di bassissimo spessore, si svolgono appuntamenti di grande interesse come la Mostra del Cinema di Venezia e, fra pochi giorni, il Festival della Filosofia a Modena e il Festival della Comunicazione a Camogli. Quando si dice il convitato di pietra, no?

Quest’anno, poi, a Camogli il tema è quasi un controcanto al logorio imbruttito dei tempi attuali: la Speranza. Non uno stato d’animo qualsiasi, né una vuota attesa inerte di un domani indefinito, ma una tensione profonda, di cui l’umanità è capace se solo sapesse “rientrare in se stessa” così come suggerisce il termine “conversione”, dal greco μετάνοια (cioè un cambiare verso, un’inversione radicale della traiettoria sbagliata).

La speranza è la scintilla che spinge l’essere umano a trascendere il presente, lo smuove dal suo pantano spingendolo (perfino brutalmente) a proiettarsi nel futuro, sospingendolo dal desiderio di qualcosa di più alto. Convertirsi alla speranza significa assumere quella postura, pur faticosa, che ci porta ad alzare lo sguardo per vedere e progettare oltre noi stessi, ma includendoci.

Ernst Bloch, filosofo del Novecento, la definisce come il principio attivo che muove l’uomo verso la trasformazione del mondo. La sua opera, Il principio speranza, ci ricorda che questa virtù non è solo un fatto privato o spirituale, bensì una forza collettiva capace di dare forma a nuove possibilità. Senza timore, direi che la speranza è una postura politica per una società schiacciata sul presente, spesso tesa a conservare misere rendite di posizione, che tutela i già garantiti e si dimostra sempre più miope nei confronti delle nuove generazioni, lasciate senza testimoni e modelli di riferimento.

Nell’attuale scenario globale, in cui le crisi si moltiplicano e si sovrappongono a tal punto che il senso di smarrimento sembra prevalere, la speranza assume una nuova centralità. Parole come “resilienza” e “rinascita” (così inflazionate durante la pandemia globale del Covid) sono sì diventate parte del nostro vocabolario quotidiano, ma spesso in maniera superficiale, utilizzate per post efficaci a favore di emozioni fugaci, tipiche delle stories che durano il tempo di poche ore. Al contrario, la resilienza, oltre a significare resistere alle avversità, è la capacità di reagire, di andare oltre trasformando il dolore in crescita, la crisi in opportunità. Per questo nasce lo scoramento, quando ci si ostina a suonare mentre il Titanic affonda e si preferisce il chiacchiericcio piuttosto che affrontare discorsi di verità per risolvere davvero le questioni urgenti. Questa spinta è un invito a sfidare l’ignoto, a forgiare il nostro destino oltre i limiti biologici e fisici, attraverso il progresso tecnologico che ha accompagnato l’essere umano dall’Homo Sapiens fino all’Intelligenza Artificiale. Con osservazione scientifica, organizzazione e capacità strutturale, l’umanità ha trasformato il mondo, abitato ogni angolo del pianeta e costruito società sempre più complesse, cercando, seppure in modo imperfetto, quel benessere collettivo che ancora oggi ci sfugge. Rimettere al centro la parola “speranza” – come anticipa il Festival di Camogli – significa non solo rinnovare la fiducia nell’umanità e nelle sue capacità tecniche, creative e sociali, ma anche riconoscere il valore delle connessioni, fisiche e virtuali, e della collaborazione.

Capite bene che a un dibattito così ricco e denso di spunti il Ministero della Cultura porterebbe un contributo istituzionale notevole se non fosse che, da quelle parti, il massimo su cui aggrapparsi e sperare (appunto) sono le dimissioni del ministro e l’oblio di aspiranti ma inadatte consiglieri.

Francesco Petrarca scrisse che senza speranza, la vita non sarebbe che una continua malattia: Ecco, Giorgia Meloni ci metta un punto e premi il tasto off su tutta sta vicenda: ci dia speranza almeno su questo.

 

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