Mentre giungono forti gli echi sinistri del lontano rombo dei tamburi di guerra, l’agenda politica del paese scivola rapidamente verso la fine della legislatura. Pare che la cosa non interessi a nessuno anzi, c’è qualcuno, addirittura, che pensa a una fine anticipata dei mandati parlamentari illuso, forse, da qualche sondaggio favorevole. E fa niente che, a meno di 12 mesi dall’ipotetica data del voto, non si sappia ancora con quali regole si giocherà la partita e che sulla nuova legge elettorale ci sia una cortina da far invidia alle nebbie di Londra e Milano.
Tanto in questo paese le regole non hanno mai interessato nessuno se non per crearle a proprio gusto, piacimento e vantaggio e con l’intento che, in caso di impossibilità, è meglio non farle. Forse se ne occuperanno all’ultimo momento per dar vita ad una cosa raffazzonata, adottata a colpi di maggioranza, che scontenterà tutti, per primi gli italiani che oggi però si sentono più occupati a fare i ministri degli esteri dopo che furono 60 milioni di commissari tecnici, quando giocammo la finale degli europei, e, prima ancora, 60 milioni di economisti, nei giorni del recovery fund e altrettanti di virologi ai tempi del lockdown.
Francamente non si è mai capito come mai i padri costituenti (che pure tante cose buone hanno fatto in momenti molto difficili), visto che il sistema del voto serve ad eleggere il più importante tra gli organi della Repubblica, non abbiano elevato al rango costituzionale la legge elettorale decretandone la intoccabilità o quantomeno una qualificata, e profondamente meditata, modificabilità. C’è da dire che un paese civile, con una piena consapevolezza della solenne sacralità con la quale deve essere regolato il funzionamento delle istituzioni, dovrebbe adeguarsi e, anche in mancanza di un dettato normativo che lo sancisca, dovrebbe fare, della intoccabilità costituzionale dei meccanismi elettorali, una prassi consolidata.
Sarebbe potuta essere una sacrosanta ripulita ai tanti malvezzi ai quali la II e poi, peggio ancora, la III Repubblica ci hanno abituato invece di trascinare il paese in scellerate riformicchie come l’inutile taglio dei parlamentari, intriso di dozzinale populismo. Ma vaglielo a dire ai nostri che in paesi come il Regno Unito, dove la normativa costituzionale a confronto con la nostra è semplice come un foglio di appunti per la spesa, certi meccanismi istituzionali, compresi quelli elettorali, sono per prassi sacri e sono intoccabili da secoli. Eppure, tra i politici, di appassionati del maggioritario di stampo anglosassone ve ne sono a bizzeffe, ma evidentemente guardano ad Albione solo quando gli fa comodo.
In effetti nel nostro paese c’è stata una lunga stagione in cui la legge elettorale era considerata intoccabile e qualche timido tentativo di cambiarla era stato messo alla berlina con l’accusa di “legge truffa”. Erano tempi seri, ma quella classe politica fu spazzata vita da una magistratura poco attenta alle cose di casa sua e molto impegnata a mettere il becco fuori del recinto. Le scuse che giunsero postume a ben poco servirono, se non a far dire che quelli di prima, che furono spazzati via, avevano ragione. La verità è che dopo quegli eventi le aule del parlamento e le stanze del governo sono state travolte della frana dell’etica e della dignità politica nella quale sono naufragati gli attuali epigoni della classe politica della prima repubblica.
È stato scoperto il tema della governabilità che ha generato i premi di maggioranza: chi vince deve comandare senza gli intralci delle opposizioni per tutta la durata della legislatura (anche per sempre, avrà pensato e sperato, forse, qualcuno). Ma il problema era che non c’era accordo. Chi li voleva al 30% e chi al 40%, chi li voleva per i singoli partiti e chi per le coalizioni, chi li voleva con il maggioritario e chi con un sistema misto. Ed è finita come quando ci si sposa tra cugini.
Come disse nel film “13 a tavola” Angela Finocchiaro: “vengon fuori i mostricini”. E infatti s’è perso il conto di quante leggi elettorali, dall’avvento delle nuove repubbliche, sono state cambiate, una peggio dell’altra, tant’è che cominciarono a chiamarle con il nome più appropriato: “porcellum”. Che poi ‘ste mescole tra proporzionale e maggioritario sono ridicole, sono come un coperchio tondo su una pentola quadrata. L’unico modo per unire in maniera organica i due sistemi (che per loro natura sono opposti) è quello di eleggere il premier con il maggioritario e le assemblee con il proporzionale, come il meccanismo che fa funzionare la legge elettorale comunale. Ma tanto in Italia il premier, eletto direttamente dal popolo, non lo faranno mai.
Ma bando alle ciance, il panegirico che vi ha testè annoiato ha le sue conclusioni, sennò si scadrebbe in un banale qualunquismo di maniera. Veniamo al sodo. Considerato che il capo del governo non sarà mai eletto dal popolo, (almeno non a breve) e che è indecente che fino a pochi giorni dalle elezioni non si sappia quali saranno le regole del gioco, scegliere una volta per tutte il proporzionale puro (a ogni lista un numero di seggi proporzionale a quello dei voti), decidere che una legge elettorale deve essere adottata a maggioranza qualificata dei due terzi del parlamento e infine che dovrebbe essere approvata almeno un anno prima che si svolga la tornata elettorale, sarebbe il modo consono di un paese civile e realmente democratico di rendere tale materia correttamente regolata. Ma confidare in un tale sussulto di civiltà politica appare un’illusione quanto quella del beduino quando scorge, sull’orizzonte del deserto, il miraggio di un’oasi che non c’è. D’Hondt (metodo) santo subito!
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