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Paolo Ruffini affronta il tema del suicidio. E’ polemica.

Avvocato, Giornalista Pubblicista e Presidente "Consiglio per la Parità di Genere"
Paolo Ruffini affronta il tema del suicidio. E’ polemica.

Metti due attori a parlare su una radio generalista di suicidio e la polemica è servita.

I protagonisti sono Paolo Ruffini (conduttore del programma Up & Down Estate) e Claudia

Campolongo (ospite) che da Radio 24 afirontano il tema delicatissimo del suicidio e snocciolano affermazioni come “Chi si suicida è un egoista? No, ma mette giustamente sé stesso al primo posto” oppure “per chi soffie di attacchi di panico, il suicidio è una risorsa, una liberazione” e che, neppure incalzati dall’intervento in diretta di un medico che ne ha ammonito, ne hanno corretto portata.

A prendere la parola oggi è il massimo esperto sull’argomento, Presidente dell’Osservatorio

Nazionale Violenza e Suicidi, dott. Stefano Callipo che, basito dalla pericolosità dei messaggi dati, non si capacita come sia stato affrontato con tanta leggerezza questo tema innanzi ad un pubblico vasto non concedendogli, tra l’altro, proprio a lui che ha vocato la sua attività di psicologo al rischio suicidario, possibilità di replica per le necessarie rettifiche anche e soprattutto a tutela delle centinaia di migliaia di persone, in condizione di fragilità, che possono aver ascoltato la trasmissione.

“Numeri alla mano: il suicidio in Italia è la seconda causa di morte nella fascia di età tra i

15 e i 29 anni, ove ogni anno si tolgono la vita circa 4000 persone, numero che va moltiplicato almeno per 12 per comprendere la portata anche dei tentativi di suicidi.”

D. Dott. Callipo, una battuta a caldo.

R. Quando ti rivolgi a un pubblico nazionale e così generalista devi considerare che c’è anche gente che vive situazioni in bilico per cui basta un piccolo pensiero negativo che possa farla scendere ancora più giù e poi in specifici casi più estremi elicitare in loro pensieri o gesti estremi

D. L’errore è stato del conduttore, Paolo Ruffini, o dell’ospite, Claudia Campolongo?

R. Una corresponsabilità di entrambi. Il conduttore è colui che conduce e pilota e quindi anche se il suo ospite avesse detto una cosa errata o riprovevole, lui avrebbe dovuto correggere o prendere le distanze da tali affermazioni.

D. Entrando nel merito di quanto da loro detto, è d’accordo nel ritenere, come hanno detto i due attori, che il suicidio sia una risorsa in un momento di disagio mentale come ad esempio gli attacchi di panico?

R. No, l’opposto. Non solo non è una risorsa ma è un campanello di allarme. Se il pensiero sucidiario si staglia frequentemente nella mente della persona come unica soluzione è importante rivolgersi immediatamente ad un professionista esperto.

Bisogna stimolare la capacità di chiedere aiuto in chi si ritrova a pensare più volte al suicidio altrochè risorsa. Anche la modalità espressiva non la ritengo adatta: quando si parla di suicidio, ad un pubblico così esteso, assumere espressioni anche visive fatte di sorrisi significa non considerare minimamente la serietà del tema. Il suicidio non può essere affrontato con leggerezza. L’atteggiamento dei protagonisti non credo sia stato fatto volutamente ma certamente è stato preso alla leggera non valutando le potenziali conseguenze di ciò che è stato detto. La suicidologia è una scienza, affrontata con rigore scientifico e metodologico, con ampi confini epidemiologici.

Chi vive condizioni depressive, ascoltare tali parole, anche con sorrisi, può esacerbare la forma di malessere. I soggetti che vivono una condizione. Depressiva tra l’altro possono mettere in atto condizioni dissimulatori e tali da non dar modo di essere visti come tali. Bisogna usare forme di cautela.

D. C’è stata forse confusione fra eutanasia (anche detta suicidio assistito) e il vero rischio suicidario. Vogliamo spiegarne la differenza?

R. Il suicidio è il frutto di un dolore mentale, a volte derealizzativo, talmente forte per cui la persona tende a non vedere più altre vie d’uscita. Spesso non è una scelta lucida, io suicidio non è una ricerca di morte ma una via di fuga. L’eutanasia invece è una volontà lucida di un soggetto, che vive un diverso dolore mentale, che ha diritto di operare con consapevolezza una scelta. Entrano qui in gioco aspetti etici. Personalmente sono a favore dell’Eutanasia, ma parliamo di un tema che dal conduttore e dal suo ospite è stato confuso, generando ancora più incertezza e caos.

D. Forse gli attori ne hanno confuso perchè l’atto estremo è il medesimo…

R. No. E proprio un alto diverso tant’è che le persone che operano eutanasia operano una scelta, a mio personale avviso avendone diritto, mettono in alto una condizione di impegno attivo per poterlo fare (organizzano la clinica, prendono l’aereo, coordinano la logistica…). L’impulso suicidario invece è un atto in discesa, dove colui che si toglie la vita non sceglie ma si ritrova a vivere una condizione, spesso impulsiva in modo subito, violento e istintivo (si lancia da una finestra, se ha un’arma si spara….). Non è per nulla lo stesso atto per quanto entrambi finiscano poi con la morte. E aggiungo: l’errore ulteriore della trasmissione è stato proprio quello di trattare con similitudine queste due casistiche, errore perseverato anche quando un medico intervenuto in diretta ha tentato di correggerne.

D. E sulla domanda che Ruffini fa sull’essere il suicida un “egoista?” (e la risposta della Campolongo che il suicida sì “si mette al primo posto…”)

R. Ruffini sembra essere caduto in una trappola.

L’egoismo è un processo di elaborazione del lutto che può vivere chi resta. Infatti il sentimento di rabbia verso il caro che si è tolto la vita può costituire una fase specifica di elaborazione del lutto per suicidio. Egoismo inteso quindi come “tu te ne sei andato e mi hai lasciato qui con il dolore”. Quanto alla risposta, ancora peggiore dell’attrice, no, il suicida non si mette al primo posto: chi mette in atto una condotta suicidaria vive una condizione di tale pessimismo e dolore mentale (hopelessness) che non permette il soggetto di vivere con lucidità quel momento. Dire invece così significa assegnare una responsabilità a colui che si toglie la vita e questo non è assolutamente né giusto tecnicamente né corretto eticamente, oltre ad essere privo di ogni fondamento scientifico. Con la salute non si scherza.

 

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