BLOG

Quando un Ministro si assenta per paternità

Avvocato, Giornalista Pubblicista e Presidente "Consiglio per la Parità di Genere"
Quando un Ministro si assenta per paternità

Ha fatto molto discutere la scelta del Ministro dell’Agricoltura Svedese, Peter Kullgren, che ha chiesto, e ottenuto, il congedo parentale per accudire la sua bambina di un anno. Ineggiato a “eroe” e a “uomo del futuro”.

D’altronde sino ad ora solo un’altra componente di un Governo, sempre Svedese, ne aveva chiesto (Amanda Lind) nel 2019 e poi nessuno mai. Men che meno uomo e ancora più raro quando la genitorialità cade entro un incarico, come quello ministeriale, per sua natura determinato e con altissimi obiettivi.

D’altronde non tutti hanno la fortuna di programmare le maternità e, quando un figlio arriva, l’oggettiva chiamata alla cura è indiscutibile. Quello che varia è la risposta che le si dà, se positiva o negativa e, in questo secondo caso, scaricando così, di fatto, il proprio compito su qualcun altro.

Ed il punto è proprio questo: chi, tra la madre e il padre, deve crescere un figlio?

Se la psicologia ne ripartisce equamente rispettando ruoli e proiezioni, la legge (italiana) non ha dubbi: è la madre ed è a lei infatti che riserva il maggior numero di ore di congedi e permessi. Ai padri vengono riservati solo 10 giorni (!) che poi, dati alla mano, quasi mai vengono neppure chiesti.

Dovremmo dunque riscrivere i trattati di psicologia alleggerendo l’importanza della paternità?

Sin da quando si è parlato di parità di genere in Italia (art 37 della Costituzione), è stato più volte detto a gran voce (vedasi i verbali di dibattito della Costituente) che sostenere che il lavoro di crescita genitoriale di un padre sia scaricato sulle madri è errato perché l’impegno familiare e prevalente femminile è proprio di per sé, per missione, per vocazione, per genetica conseguente al ruolo.

La donna, in altri termini, non supplirebbe il compagno assente nella cura dei figli ma compirebbe il suo scopo naturale.

Allora si parlava di “angeli del focolare” termini che oggi non potrebbero essere ripetuti senza critiche feroci che però si fermano all’estetica della parola senza calarsi nella sostanza che è quella, restituitaci dai numeri, di un’arretratezza della condizione femminile che peggio dell’Italia, in tutta Europa, c’è solo la Grecia.

Se questa impostazione culturale fosse errata, se la presenza del padre fosse fondamentale tanto quanto quella della madre e se la prassi mostrataci fin’ora fosse solo un modo di perpetrarne abitudini e convenienze, allora, di fatto, significherebbe che il lavoro degli uomini assenti è supplito da qualcun altro.

Conclusione che potrebbe aiutare anche a dare una risposta anche all’annosa domanda, che pochi si pongono, “dove sono tutte quelle donne che non lavorano?” (il 40% del totale). Sono a casa, a fare il lavoro altrui.

Detta così, il Ministro Svedese Kullgren, non pare neppure un eroe (che, in quanto tale, fa cose straordinarie) ma un semplice, rispettoso e responsabile compagno e padre. Chapeau.

RIFOCAST - Il podcast de Il Riformista

SCOPRI TUTTI GLI AUTORI