L’identità di ciascuno è un divenire d’incidenze, esperienza dopo esperienza: il terzo polo pure.
Prima delle politiche 2022 ci si chiedeva se il terzo polo possibile fosse uno spazio misterico a cui bisognasse iniziare la miglior politica, con mille sacri dubbi sul come e quando. L’idea platonica è scesa dall’iperuranio e il verbo è venuto ad abitare in mezzo a noi quando un kit elettorale si è definito Terzo Polo. Ma quest’ultimo non aveva dietro di sé un percorso stabile e duraturo per realizzare l’astratta categoria politica del polo terzo: liberale anche nel metodo. Terzo rispetto al castrante e irriformista ostruzionismo che le sinistre fanno in danno delle destre, e viceversa. Il cartello del terzo polo non è stato un vero terzo polo. Dov’era la sintesi centrista tra i garantismi del centrosinistra e del centrodestra?
Come uno spettro che s’aggirava fra i ceti produttivi dopo le stagioni populiste, l’idea dura e spuria del tripolarismo è rimasta incompiuta, disconnessa dai percorsi. Ci hanno provato Renzi e Calenda, insieme, ci hanno provato pensando che potesse nascere subito un soggetto reale, con una base unitaria capace d’avviare un percorso attrattivo, centrista e centrale, terzo rispetto agli arroccamenti dei radicalismi bipolari. L’esperimento – semplicemente quell’esperimento – è fallito: empiricamente sappiamo che il terzo polo non si fonda sul brillante carpe diem di due teste sole, eminenti quanto a intelligenza programmatica, ma pur sempre due.
Due però appaiono le vie, attualmente: i Libdem europei che vari liberali tentano di rendere un nobile cantiere di garantismi in movimento tra tradizione e innovazione, s’una via; e una moderazione politica della Meloni con una possibile centrizzazione della destra, attraverso il mutamento estensivo di Fratelli d’Italia nei futuribili Liberali d’Italia, s’un’altra via. La destra è in grado di moderare gli slogan che l’hanno portata a governare?
Al momento la sinistra non riesce a programmare una via terza liberale, che esprima i nuovi paradigmi sociali della libera impresa; e i Cinque Stelle hanno altre coordinate rispetto all’idea neorepubblicana di un terzo polo garantista.
Le tecniche di parto adesso appaiono due: un parto naturale Libdem o un parto cesareo fanta-meloniano. Il presidente Meloni svolterebbe e si assicurerebbe ancor più lunghe possibilità d’azione governativa, col necessario tempo di sbagliare per migliorare.
Le anime liberali da mettere insieme sono varie, ed eventuali, ma l’obiettivo è forgiare un letto politico grande. Italia Viva è stata coraggiosa ad incarnare quella valvola partitico-sistemica con un ventaglio di proposte riformiste, per staccarsi dalle sinistre. Al contempo, Italia Viva non è stata solo una zanzara pronta a far saltare i piani governativi altrui, poiché bene o male ha metodologicamente rappresentato quel piccolo perno possibile sulla cresta di un asse costituzionale già arredato, spostando l’asse attraverso i numeri nelle votazioni d’aula proprio nei momenti in cui l’arredo governativo abbassava le aspettative sul minimo di riforme da intavolare. D’Italia Viva però occorre valorizzare, per il prosieguo del riformismo, buona parte del programma e non solo il metodo. Serve infatti uno spazio, attrattivo e attraente, a vocazione estensiva.
Serve un grande campo politico di progetti che da riformista possa farsi riformatore: sulla fiamma di un movimento sociale italeuropeo realista, senza pregiudizi o fuochi fatui ideologici. Uno spazio centrato sulle curve della futura domanda di lavoro, democraticamente fondato sul dovere di libertà. Sarebbe preferibile, a rigore, che i liberali appoggiassero la Destra liberale, senza dispersione di energie e d’intenti.
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