Nel parere del 2 dicembre, la Banca centrale europea invita a riconsiderare l’emendamento di Lucio Malan alla Legge di Bilancio 2026, secondo cui le riserve auree detenute da via Nazionale apparterrebbero allo Stato «in nome del popolo italiano». Una formulazione che, per la Bce, ignora il principio secondo cui le riserve ufficiali devono restare sul bilancio della Banca centrale, che le gestisce in autonomia a tutela del divieto di finanziamento monetario e dell’indipendenza sanciti dai Trattati.

Per l’Eurosistema, non conta la retorica sulla “proprietà” dell’oro, ma chi ne controlla l’uso. Se anche solo in astratto le riserve fossero trasferibili al bilancio statale, diventerebbero un pegno politico a garanzia della spesa pubblica: esattamente ciò che l’articolo 123 del Trattato intende evitare. Togliere l’oro dal perimetro contabile di Bankitalia significherebbe dunque aggirare il divieto di finanziamento monetario e indebolire l’indipendenza dell’istituto.

La storia parlamentare della norma chiarisce il contesto. La prima versione dell’emendamento avrebbe favorito un trasferimento effettivo delle riserve allo Stato, in vista di un possibile utilizzo una tantum per coprire i buchi di bilancio. Dopo i rilievi del Tesoro – che ha parlato apertamente di rischio di esproprio e di incompatibilità con Costituzione e diritto Ue – la proposta è stata ammorbidita, limitandosi alla proclamazione simbolica della «proprietà italiana». Ma la spinta politica resta quella di agitare la bandiera della sovranità monetaria, un nostalgico “oro alla patria” aggiornato al lessico euroscettico.

Qui affiora una contraddizione interna alla maggioranza. Nel 2018 l’attuale presidente del Consiglio, allora all’opposizione, fu prima firmataria di una proposta di legge che chiedeva la nazionalizzazione integrale di Banca d’Italia, sostenendo che «tutta la ricchezza accumulata è degli italiani» e che le riserve auree dovessero essere restituite allo Stato. Oggi, al governo, quello stesso fronte politico prende le distanze dal proprio capogruppo e lascia che sia il Ministero dell’Economia a frenare: toccare l’oro sarebbe un esproprio.

Nemmeno la Lega è immune da incoerenze. Nel 2015 alcuni suoi senatori sostennero l’accelerazione di una proposta di legge popolare (di matrice grillina) per l’uscita dall’Euro. E tuttavia, in un ipotetico ritorno alla “lira sovrana”, non si capirebbe come la nuova moneta potrebbe poggiare su riserve auree sottratte alla piena disponibilità della Banca centrale. Il Ministero guidato dal leghista Giorgetti ha comunque di fatto affossato l’idea di “nazionalizzare” l’oro di Bankitalia: non solo contraria al diritto europeo, ma incompatibile persino con le mitologie nazionaliste che l’avevano ispirata.

Andrea Chiloiro

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