A 50 anni dalla morte di Tolkien, un viaggio inaspettato

Ennyn Durin Aran Moria. Pedo Mellon a Minno. Tradotto dall’elfico: Le Porte di Durin, Signore di Moria. Dite “amici” ed entrate. La scritta è un enigma, inciso su una desolata parete di roccia che sovrasta Frodo Baggins, intralciando il cammino della Compagnia dell’Anello attraverso il regno dei Nani; ed è una delle scene più conosciute dei libri di J.R.R. Tolkien, autore britannico di cui viene celebrato il cinquantennale dalla morte avvenuta il 2 settembre 1973 a Bournemouth. Da poco il giovane Hobbit ha accettato il compito di Portatore dell’Anello per gettarlo nel Monte Fato.

“Quando si chiede a un lettore qual è la prima parola in lingua elfica che gli sovviene, questa è probabilmente Mellon, “amico”, una parola che schiude le porte di Durin a Moria, una parola che permea l’universo e la letteratura di J.R.R. Tolkien. Quella stessa amicizia che ha valore fondamentale tanto nelle opere quanto nella vita del professore oxoniense. Si ricordi innanzitutto lo stretto e talora difficile legame con il collega C.S. Lewis, oppure l’affetto che legava lo scrittore ai membri del TCBS, gruppo di amici falcidiato dalla Prima guerra mondiale”, afferma Stefano Giorgianni, presidente dell’AIST – Associazione Italiana Studi Tolkieniani, fondata nel 2014 e si occupa della divulgazione delle opere di J.R.R. Tolkien in Italia ed è consulente di Bompiani per la traduzione dei volumi tolkieniani sul mercato italiano.

Un dettaglio: lo spirito di fratellanza tra gli Elfi dell’Eregion e i Nani di Khazad-dum era al suo apice quando, durante la Seconda Era della Terra di Mezzo, furono costruite le Porte di Durin al fine celebrare la prosperità e l’amicizia tra i due popoli. E fu proprio attraverso le Porte che gli Elfi e i Nani poterono incombere sulla retroguardia di Sauron, l’Oscuro Signore che mirava al dominio dei popoli, e permettere a molti di salvarsi. Spiega Stefano Giorgianni: “Se dovessimo scegliere tre parole, nelle opere tolkieniane l’amicizia è fulcro, potere e forza. L’amicizia è unione, ed è tramite la stessa amicizia che, emblema di comunione tra le razze, porta alla formazione della Compagnia e, se si ben riflette, anche alla distruzione dell’Unico Anello”.

In questa epica valoriale, eroica e così stratificata risiede il senso politico dell’intera poetica del professore di Filologia Anglosassone presso il Pembroke College di Oxford. J.R.R. Tolkien agisce consapevolmente nel dipingere un albero composto di storie, mappe, annali, detti popolari inventati, poesie e chansons de geste da cui germogliano i dettagli di una nuova mitologia, a sua volta scomposta nelle pagine dei libri, la quale l’autore stesso sa di lasciare incompiuta, tanto che affiderà al figlio la volontà di definirne le radici nascoste nella Storia della Terra di Mezzo (il volume 4 è stato pubblicato a maggio da Bompiani).

L’epopea tolkieniana non è, pertanto, il tramite per diffondere un’univoca tradizione, di cui qualcuno vorrebbe appropriarsi di antiche simbologie esoteriche, ma sono sterminati miti che si alimentano tra di loro. Infatti, come afferma lo stesso J.R.R. Tolkien, “difficilmente avrebbe affrontato la lettura di una fiaba senza volerne scrivere una”, allo stesso modo per una ballata medievale o una leggenda nordica. Una pulsione avversa all’elitarismo culturale a favore dell’idea di un complesso sistema narrativo popolare il cui destinatario ultimo è l’umanità intera. È sulla base di questa intenzione che J.R.R. Tolkien oppone alla Mano Nera che imprigiona la Terra di Mezzo ciò che solo uno scrittore possiede: un viaggio inaspettato compiuto da eroi altrettanto inconsueti.

Gli eroi delle sue storie sono piccoli uomini dai grandi piedi pelosi, elfi dall’animo fin troppo gentile, nani che fanno i conti con l’avidità, uomini che fuggono da ciò che era stato deciso per loro. A differenza del male, loro sono fallaci, incompleti, manchevoli, sono laici poiché tremendamente terreni. A differenza di Sauron, i loro poteri sono determinati e limitati dalla forza delle convinzioni. A discapito di chi vorrebbe privarli della loro libertà loro hanno un amico a fianco: come Samvise Gamgee, disposto a calcare il passo sempre più lontano dalla Contea pur di accompagnare Frodo, ogni giorno più vicino al suo inesorabile destino.

L’amicizia, in sé, è amore in contrapposizione all’odio rappresentato dalle opere di malvagi Morgoth e Sauron. Diversi ritratti dell’amicizia sono innanzitutto il rapporto tra Frodo e Sam, ma anche tra Bilbo e Thorin nello Hobbit, oppure tra Túrin e Beleg nel Silmarillion”, conclude il presidente dell’AIST – Associazione Italiana Studi Tolkieniani.

Nell’opera di J.R.R. Tolkien l’amicizia è un sottile ma infrangibile legame, più forte di ogni magia, più forte di ogni tentazione, di fronte al quale il male della Terra di Mezzo, i mali del ‘900, arretrano e si arrendono. È un motore perpetuo che nasce dall’animo di chi sceglie di abbracciare le storie che lo circondano e intraprende un viaggio inaspettato.