C’erano tutti. O quasi. Al “Global Progress Action Summit” di Montreal, il summit mondiale del progressismo riformista, su iniziativa del primo ministro Justin Trudeau sono stati chiamati a riflettere numerosi leader in quello che è stato definito dai media britannici il “conclave della sinistra mondiale”.
Su invito dei promotori -“Canada 2020”, il maggiore think tank progressista canadese, che ha operato in pool con il “Center for American Progress Action Fund” statunitense e con il “Tony Blair Institute for Global Change”- al confronto canadese sono sfilati rappresentanti di più di quindici Paesi: oltre a Trudeau e a Blair, si è visto il leader del Labour Keir Starmer, il primo ministro norvegese Jonas Store, l’ex premier neozelandese Jacinda Ardern, l’ex premier finlandese Sanna Marin, l’ex premier svedese Magdalena Andersson, l’ex vicepresidente della Commissione europea e candidato premier in Olanda Franz Timmermans, la vicepremier e ministra delle Finanze canadese Chrystia Freeland, l’ex ministro degli Esteri britannico David Miliband, l’ex governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney, l’ex vice consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Ben Rhodes, il segretario esecutivo del Pse, Giacomo Filibeck. Per l’Italia, nel suo consueto formato di eurodeputato eletto in Francia e segretario del Partito Democratico Europeo aderente a “Renew Europe”, Sandro Gozi.
Di Elly Schlein nessuna traccia. Lontana evidente la stagione dell’”Ulivo mondiale”, quando nel 1999 l’allora presidente del consiglio Massimo D’Alema convocava a Firenze una assise dall’ impegnativo titolo “Il Riformismo nel XXI” che vedeva sfilare il gotha del progressismo mondiale dell’epoca, da Blair a Clinton passando per Jospin e Schroder (e naturalmente se stesso). Le cronache dell’epoca riportano di una liquidazione totale di D’Alema dell’idea dell’Ulivo mondiale (“un provincialismo”) e dello scontro tra il modello della “gauche plurielle” francese e quello della “Terza Via” blairiana. (Per la cronaca, all’epoca D’Alema stava con la seconda, e liquidava sprezzante Cofferati che guardava al modello francese…).
Al di là dell’eterno dibattito sulla natura della sinistra, dopo 24 anni da quell’evento la sinistra italiana è passata da organizzatrice e promotrice di un dibattito globale a lontano spettatore, costretta addirittura a dover assistere alla presenza nei panel dei reprobi riformisti liberal-democratici italiani.
Mentre il Pd si concentrava sulla nuova, e singolare posizione in materia di politica estera sul versante migratorio (“Aiutiamo la Tunisia ma non il suo governo”, copyright del duo Provenzano-Boldrini che pare essere una sciarada più che una posizione politica praticabile), Elly Schlein si esercitava in uno sport che abbiamo capito esserle particolarmente congeniale: scomparire!
Certo, avrebbe probabilmente avuto qualche difficoltà ad andare a spiegare a Tony Blair e al gotha del progressismo mondiale che la sua posizione per l’Ucraina è quella di continuare a mandare armi ma contemporaneamente diminuire le spese militari e già che ci siamo fare anche l’esercito europeo, non foss’altro per il fatto che a quel punto tutti gli astanti le avrebbero chiesto come ha fatto a trovare la formula della pietra filosofale in politica.
E ancor più avrebbe fatto fatica a spiegare che nell’epoca del prevalere della dimensione individuale nella sfera del lavoro (che sta provocando anche un mutamento profondo nel sistema di rappresentanza politica), la soluzione migliore per il centro-sinistra del futuro consiste nell’abiurare tutto ciò che è stato fatto in materia di legislazione e modernizzazione del mercato del lavoro per tentare il ripristino di un approccio in difesa di interessi di classe che non esistono più.
Anziché porre il problema delle grandi concentrazioni economiche globali, favorite dalla tecnologia, che hanno dato a pochi grandissimi imprenditori e finanzieri un potere straordinario, che si traduce in una straordinaria capacità di influenza politica, la sinistra italiana pensa che evidentemente il futuro consista nell’ iconoclastia della stagione riformista e nel ritorno ad una presunta stagione del passato fatta di contrapposizione, assecondamento delle pulsioni sociali, rivendicazionismo vertenzialsita, con una spruzzata di ambientalismo apocalittico. In effetti, l’abiura del concetto di una sinistra di governo sarebbe stata difficile da sostenere a Montreal.
Così come il dover sostenere – e giustificare – l’alleanza strutturale spasmodicamente rincorsa con un partito populista che non vuole mandare le armi in Ucraina, che vuole confermare il protocollo con Pechino per la iugulatoria “Via della Seta” e il cui leader – Giuseppe Conte – sfilava alla Casa Bianca e nei vertici internazionali con Donald Trump rivendicando assonanza politica con il nuovo leader Usa (“Siamo due governi del cambiamento, tante cose ci uniscono”) e prendendosi gli apprezzamenti del Tycoon americano per il pugno duro sui migranti esercitato dal proprio governo con i “decreti sicurezza” di salviniana (e piantedosiana) fattura.
Meglio evitare, dunque. Meno male, almeno, che in Canada c’è andato Sandro Gozi. Per riprendere uno slogan caro a quel tipo di sinistra, la sua presenza ha dimostrato che un altro mondo è possibile!
