A New York una nuova generazione di politici musulmani, il segnale arriva anche in Germania. Mamdani e consorte non vogliono apparire estremisti

New York City Mayor-elect Zohran Mamdani meets with reporters during the SOMOS Puerto Rico conference at the Caribe Hilton Hotel in San Juan, Puerto Rico, Thursday, Nov. 6, 2025. (AP Photo/Alejandro Granadillo)

Negli ultimi vent’anni, la politica europea ha assistito a un fenomeno silenzioso ma potente: l’emersione dei cittadini musulmani come attori politici. Non attraverso la creazione di partiti islamici di massa – come qualcuno temeva o auspicava – ma tramite una penetrazione chirurgica nei partiti tradizionali. Una strategia che ha permesso visibilità, ma che oggi solleva un interrogativo scomodo: quale prezzo pagheremo per la coesione democratica?

La Germania, con oltre cinque milioni di musulmani, è il laboratorio perfetto. Qui, la partecipazione politica islamica si è divisa tra micro-partiti etnico-religiosi (BIG, ADD, DAVA) e l’inserimento di candidati musulmani nei grandi partiti – SPD, Verdi, CDU, Linke. I primi arrancano, vittime di frammentazione interna. I secondi prosperano, ma portano con sé una tensione latente: come si concilia l’identità religiosa con la fedeltà ai valori costituzionali, incluso il rifiuto dell’antisemitismo? Questa domanda non è teorica. Dopo il 7 ottobre 2023, le autorità tedesche hanno registrato un’impennata di episodi antisemiti legati a manifestazioni filo-palestinesi. Non si tratta solo di frange radicali: la retorica anti-israeliana, quando non vigilata, può facilmente scivolare in ostilità verso gli ebrei. E se questo virus ideologico entra nei partiti, il danno è sistemico.

Il caso di Zohran Mamdani, appena eletto sindaco di New York, è emblematico. Musulmano praticante, è il primo sindaco islamico della Grande Mela. Progressista, socialista, sposato con una bella ventottenne siriana, è l’icona della sinistra radicale. Ma anche protagonista di polemiche roventi per le sue posizioni su Israele e la sua delegittimazione come Stato ebraico. D’altra parte il neo eletto sindaco non ha mai nascosto di ritenere Israele uno stato di apartheid, né di appoggiare il movimento BDS o di pensare alla sofferenza dei palestinesi come centrale per la sua identità personale. Motivo per cui, il giorno immediatamente successivo al 7 ottobre – quando ancora non c’era guerra e le vittime erano solo israeliane – ha rilasciato una dichiarazione in cui condannava la violenza contro i civili “di entrambe le parti” ed ha affermato che la battaglia per la liberazione dei palestinesi continuerà ad essere al centro della sua politica.

Mamdani e consorte non vogliono apparire estremisti

Non diversamente la pensa la giovane moglie, Rama Duwaji, che su Instagram pubblica le sue “opere” di illustratrice: disegni di barchette dedicati alla Flotilla, bandierine palestinesi, schizzi di pentole vuote con la scritta “è fame deliberata” o “end of genocide”. Compaiono anche sue foto in pantaloncini corti, come una qualunque ragazza di New York. Dimentichiamoci, al momento, i burqa. Mamdani e consorte non vogliono apparire estremisti. O almeno, non così si presentano al loro pubblico. Sono entrambi colti e perfettamente inseriti nel sistema. Ed è proprio questo a rendere inquietante il caso di New York: la nuova generazione di politici musulmani non agisce ai margini, ma al centro del potere. E se non distingue con chiarezza tra solidarietà palestinese e antisemitismo, il rischio è che l’ideologia identitaria contamini la democrazia dall’interno.

Il segnale in Europa

In Europa, il segnale è già arrivato. La Germania ha cancellato diversi mercatini di Natale per motivi di sicurezza. Un gesto simbolico che racconta una verità scomoda: la convivenza è sotto stress. E questo per l’incapacità delle istituzioni di pretendere da tutti – nessuno escluso – l’adesione ai valori fondamentali: la laicità e il rispetto dell’altro. La sfida a questo punto non è solo politica: è culturale. Se l’Europa vuole essere davvero inclusiva, deve smettere di confondere integrazione con indulgenza. Altrimenti, il multiculturalismo rischia di diventare un alibi per l’erosione dei principi liberali. E guardando alle piazze di Berlino, Londra, Parigi, Roma, questa erosione è già cominciata.

Una nuova grammatica dell’integrazione

Servirebbe, oltre che una nuova grammatica dell’integrazione, anche un’opinione pubblica meno intimidita dal politicamente corretto e più disposta a porre domande scomode. Una buona pratica, in questo caso, ci arriva dai politici tedeschi: l’associazione politica di Amburgo, Muslim Interaktiv, è stata infatti appena messa al bando dal Ministro degli Interni Alexander Dobrint. L’agenda del gruppo prevedeva niente meno che la creazione di un califfato in Germania, oltre che la consueta ostilità verso Israele e il disprezzo per donne e minoranze. Non è un caso isolato, al momento sono al vaglio le attività di altri due gruppi: “Generation Islam” e “Realität Islam”. Berlino, Amburgo e varie città dell’Assia sono sotto osservazione.

In Germania appare ormai chiaro che la democrazia non può permettersi ingenuità: soddisfazione anche da parte di politici dell’SPD, come il sindaco di Amburgo Peter Tschentscher. Le ambiguità travestite da pluralismo qui non verranno più tollerate. E chi vuole vivere in uno stato democratico deve accettarne le regole: rispetto per chi la pensa diversamente, difesa della memoria storica, riconoscimento della dignità di ogni minoranza. In particolare, oggi più che mai, va riconosciuta la necessità di un argine netto all’antisemitismo. Senza eccezioni. Senza ambiguità. Se Berlino vigila, Londra si interroga e Parigi si divide, New York sarà all’altezza?