Accanimento dei Pm su Mannino, la sua colpa? Non essere stato ucciso

È un teorema ed è anche un martirio applicato a una persona. In tutto questo porcaio fu coinvolto anche l’ex presidente della Camera Luciano Violante, uno storico ex Procuratore della Repubblica, che non dette alcuna importanza a un libro scritto da Vito Ciancimino sull’omicidio di Salvo Lima, e che nel 2015 testimoniò su quel che gli aveva detto l’allora ufficiale del Ros Mario Mori a proposito di queste famose rivelazioni che aveva trovato inconsistenti: «Mi fu detto che Ciancimino rinunciava al colloquio diretto con me. Aspettai che arrivasse una cosa formale, la lettera di Ciancimino, e poi informai la Commissione (antimafia). Nel terzo incontro invece mi chiese del libro e dissi che lo ritenevo inutile. Non si parlò di nulla di rilevante e non si insistette per il colloquio riservato anche se si disse che si era persa una occasione». È tutto nelle motivazioni della sentenza di assoluzione di Calogero Mannino e che illustrano l’inconsistenza di un mare di chiacchiere che fanno da sfondo a questo paesaggio spettrale e surreale su cui si sarebbe mossa la trattativa. Questo non è un articolo sulla mafia e l’antimafia, ma soltanto un ricordo personale di un uomo che va considerato un sopravvissuto. È un uomo che è stato tenacemente e crudelmente accusato di delitti infami e che è stato sempre assolto con formula piena. E questo perché il teorema è soltanto un teorema e non è una rappresentazione della realtà. Anzi, per quel che ci sembra di capire, tutta l’architettura che è stata smontata dalla sentenza che ha assolto Mannino mostra la sua natura teatrale, un prefabbricato in cui si è abusivamente insediato l’immaginario collettivo di una vicenda di cui non mancano soltanto le prove, ma la logica: chi, quando, come e perché. E, più che altro, che cosa. Noi ci permettiamo di aggiungere, in appendice a questo articolo un breve ricordo. Quando lo storico ed ex deputato Giancarlo Lehner annunciò in una intervista di voler scrivere un libro sulla vera storia della morte di Giovanni Falcone connessa con il suo incarico informale sull’oro di Mosca riciclato in Italia per cui l’ambasciatore Adamishin era andato a protestare da Cossiga (che lo ha scritto anche nelle sue memorie) Giulio Andreotti lo invitò nel suo studio e gli propose di fargli ottenere i segretissimi documenti con cui lui, in qualità di presidente del Consiglio, aveva fornito a Falcone le credenziali necessarie per la sua indagine con i magistrati russi. Lehner ricevette poi una seconda comunicazione da Andreotti il quale gli disse: «Fossi in lei, rinuncerei al suo libro su Falcone. Alla Farnesina, dove non si perde neanche una cartolina illustrata, mi dicono che i documenti che ho chiesto su Falcone non si trovano. Questo vuol dire che è meglio lasciar perdere». Che cosa c’entra con l’assoluzione e la persecuzione di Mannino? Mi sembra – e ne sono profondamente convinto per quel che mi disse il presidente della Repubblica – che nessuno si sia dedicato al movente di quella strage concepita come un’azione militare da commandos. Suprema vendetta a posteriori contro il grande nemico del maxiprocesso? Suvvia: la mafia non dà mai premi Oscar alla carriera. Uccide sempre e soltanto per motivi gravi e immediati. Valentin Stepankov, saputo che cosa fosse successo a Falcone si dimise dalla carica di procuratore generale della Federazione russa e scrive libri. Anche utili. E sulla strage di via D’Amelio sembra che siamo eternamente in presenza di un gioco di depistaggi. E le stranissime vicende in trasferta a Roma e Firenze?  E si indaga sul perché Cosa Nostra sia morta all’ergastolo senza fiatare? E come mai un fior di galantuomo come Calogero Mannino, ma anche Mario Mori e altri, sia stato sottoposto alle forche caudine della pretesa trattativa per essere finalmente riconosciuto totalmente innocente? Possibile che a nessuno suoni in testa qualche campanello?