Accordo di pace, il piano Witkoff-Dmitriev già corretto e il momento cruciale per Trump

Bisogna ammetterlo: questa volta gli europei (Francia, Germania e Regno Unito, con l’Italia di sguincio) hanno rotto le uova nel paniere di Washington e Mosca. Nel via vai di trattative, dichiarazioni, bozze e controbozze partorite dagli incontri di Ginevra e Abu Dhabi, sembra che il piano Witkoff-Dmitriev (“lettera e spirito” dei patti di Anchorage) sia stato sostanzialmente corretto. Sembra, perché non è un dettaglio quello che -secondo i negoziatori- resta ancora da definire, ovvero la salvaguardia dell’integrità territoriale dell’Ucraina.

Il gelo del Cremlino, tuttavia, è un buon segno. Significa che il lavoro di ripulitura della “lista dei desideri” di Putin è serio. In ogni caso, conosceremo tra qualche giorno il suo prodotto finale. Nella migliore delle ipotesi, beninteso, siamo ancora alla metà dell’opera. Perché poi occorrerà fare i conti con l’oste del Cremlino. E le prime reazioni del suo più autorevole portavoce, Sergej Lavrov, non inducono all’ottimismo. La strada, se non della pace, del cessate il fuoco è insomma ancora in salita. Certo, se quell’oste fosse una persona ragionevole, avrebbe tutto l’interesse a chiudere in fretta il conflitto. La Russia deve fronteggiare il crollo del prezzo del petrolio e quindi delle sue entrate.

È stata obbligata a introdurre tasse impopolari e a intaccare le sue riserve auree. La sua macchina del reclutamento, nonostante il “soccorso rosso” delle truppe nordcoreane e di altre formazioni mercenarie, continua a soffrire di problemi endemici (dopo i carcerati, sta assoldando anche gli immigrati). Ma quell’oste non è una persona ragionevole, e non pare intenzionato a chiudere la sua cantina di droni e missili balistici.

Chi conosce la visione del “Russkiy Mir” (“Mondo russo”) dell’erede di Stalin, sa che la sua ossessione sono le democrazie liberali e i valori che rappresentano. Questo è il fulcro delle sue convinzioni. I suoi servizi segreti stanno mettendo in atto ogni forma di guerra ibrida per indebolire l’Occidente, Stati Uniti inclusi. Il “commander in chief” della Casa Bianca o non l’ha capito o non vuole capirlo, forse perché ricattato (file Epstein?) o, più probabilmente, perché si illude di allontare Mosca da Pechino.

Trump si trova ora ad affrontare il momento più cruciale della sua presidenza. Vedremo se sceglierà di essere ricordato nei libri di storia come il Chamberlain del ventunesimo secolo, con la stessa ignominia del “tradimento di Monaco” del 1938 a cui seguì una guerra incomparabilmente più rovinosa di quella che sta devastando un popolo coraggioso, che si batte non solo per la propria indipendenza, ma per un’Europa sovrana e unita. C’è da credere che Polonia e paesi baltici, che hanno sperimentato il tallone dell’Urss, siano disposti a stare al fianco dell’Ucraina anche senza l’ex pilastro del mondo libero. Lo sono anche Londra, Parigi, Berlino, Roma, Madrid? E si stanno preparando a questa eventualità? Hic Rhodus, hic salta.