Il Rettore Riccardo Zucchi raccoglie l’invito della ministra Anna Maria Bernini: l’Università di Pisa è pronta a costituirsi parte civile dopo l’aggressione dei pro-Pal al prof Casella. «Ma c’è un’indagine in corso, prima la giustizia deve fare il suo corso», precisa. Rivendica l’interruzione degli accordi quadro con le Università israeliane Reichman ed Hebrew, ma annuncia che verranno riviste anche le intese con il mondo accademico dell’Iran. E si impegna a rimuovere le infamanti scritte contro Israele sul muro del Polo della Memoria.
L’Università di Pisa è finita al centro della bufera, accusata di fare propaganda pro-Pal e di non aver difeso il prof Casella. Respinge queste accuse?
«Tutto è partito da un titolo del quotidiano La Stampa che era totalmente fuorviante, secondo cui io avrei detto: “Non denuncerò gli studenti”. In realtà non l’ho mai detto. Dopo i fatti, ho chiamato il professor Casella, mi ha raccontato quello che era successo e gli ho detto: “Se è così, vada a fare la denuncia”. Quindi la denuncia è stata fatta dopo il mio suggerimento, ma comunque penso che l’avrebbe fatta anche da solo»
Immagino che l’Università di Pisa si costituirà parte civile contro i teppisti, come sollecitato dalla ministra Bernini…
«Sì, ma bisogna fare chiarezza. Anche volendo, non possiamo farlo adesso. Prima il procedimento penale deve fare il suo corso, poi ci potrebbe essere chiesto se vogliamo costituirci parte civile. C’è anche un minimo di rispetto istituzionale per la magistratura inquirente, perché prima bisogna mettere agli atti ciò che è emerso dalle indagini. Certo, se la versione dell’aggressione al professor Casella verrà confermata dalle indagini, è chiaro che ci costituiremo parte civile».
Con pochi aggettivi, come definirebbe i responsabili dell’aggressione?
«La nostra costante indicazione è sempre stata l’assoluto rifiuto alla violenza in tutte le sue forme. Non solo la violenza fisica, ma anche quella verbale che non fa svolgere le lezioni. Quindi il totale, assoluto e imprescindibile rifiuto di ogni forma di violenza è un prerequisito per ogni azione».
A maggio 2024 gli «Studenti per la Palestina» hanno occupato un giardino dell’Ateneo chiedendo di boicottare Israele. A distanza di un anno, l’Università di Pisa ha interrotto due accordi quadro con le Università israeliane Reichman ed Hebrew. Non è una bella immagine farsi dettare l’agenda da chi si accampa nelle tende…
«Quell’occupazione è avvenuta in tutta Italia, noi abbiamo avviato una riflessione sulla pace internazionale. Ci siamo impegnati a non sostenere alcuna attività volta allo sviluppo di armi. Poi siamo passati a riesaminare le fonti normative, i regolamenti sui contratti e anche gli accordi in corso. In questa operazione, visto anche il clima internazionale, siamo partiti dalla situazione a Gaza».
Però avete ancora accordi con le università iraniane. Il regime di Khamenei è simbolo di pace e libertà?
«Non ci limiteremo a Israele. Faremo un’operazione di riesame, di rivalutazione a 360 gradi. Siamo partiti da Israele non perché abbiamo un’ostilità preconcetta contro Israele, ma perché la tragedia in corso a Gaza è fuori scala rispetto a tutte le altre tragedie che, purtroppo, accadono quotidianamente nel mondo. È fuori scala per il numero di vittime civili, per l’uso della fame come strumento di guerra. E mi lasci fare una precisazione».
Prego.
«Non abbiamo aderito a un boicottaggio indiscriminato di Israele. Abbiamo un accordo per una ricerca sui farmaci antineoplastici, quelli per curare il tumore. Quell’accordo lì va avanti e la ricerca continua. Abbiamo anche un accordo per valutare gli effetti dell’inquinamento luminoso e acustico sugli ecosistemi marini».
Bene, ma comunque avete bersagliato le Università israeliane Reichman ed Hebrew…
«Con loro c’erano accordi quadro. Vuol dire più o meno questo: ci conosciamo, ci stimiamo tanto e poi ci metteremo d’accordo su cosa faremo. E infatti poi abbiamo approfondito le situazioni. La Reichman University ha approvato delle dichiarazioni di sostegno esplicito alla guerra in corso a Gaza. Cosa che noi non possiamo condividere. L’Università ebraica di Gerusalemme ha un problema: uno dei suoi campus giace in un territorio occupato, in violazione della famosa risoluzione Onu 2334 del 2016».
Sta parlando del Monte Scopus. Ma proprio lì venne posata la prima pietra dell’Università di Gerusalemme nel 1918. È sempre stato israeliano.
«Quell’insediamento, sicuramente dopo la guerra del 1967, è stato esteso con la costruzione di nuovi edifici. Si tratta di costruzioni in un territorio che non faceva parte di Israele, e quindi in violazione della risoluzione Onu. Lo ammette, di fatto, la stessa Università Ebraica di Gerusalemme: nella documentazione che ci ha inviato si legge chiaramente che quei due lotti si trovano al di fuori dell’enclave israeliana esistente tra il 1948 e il 1967. Ecco perché mi ha disturbato l’affermazione di Paganoni sul Riformista, per cui le nostre decisioni sono “un esempio da manuale di ignoranza e disinformazione”. Noi conosciamo benissimo la situazione».
Lei sostiene la Global Sumud Flottilla, ma l’Intelligence israeliana ha scoperto che dietro l’iniziativa si nascondono due attivisti che sarebbero legati ad Hamas. Sarebbe gravissimo e inaccettabile. Concorda?
«Chiunque cerca di portare degli aiuti ha il nostro supporto. Ciò non vuol dire fare un endorsement, cioè dare un supporto esplicito a quell’azione lì. Ora non so se quell’azione può aver subìto delle strumentalizzazioni».
Ma ci sono già i corridoi umanitari, controllati dalle istituzioni e non da Hamas, per consegnare il cibo a Gaza.
«Noi sosteniamo chi cerca di portare da mangiare. Il senso del supporto che abbiamo dato alla Flotilla è molto umano».
Al Polo della Memoria, un’installazione in ricordo delle vittime delle leggi razziali, è apparsa una scritta choc: «2 milioni di ostaggi, Israele vero terrorista». È stata rimossa?
«Ci sono tante scritte all’Università di Pisa. Vorremmo rimuoverle tutte, abbiamo fatto un preventivo: ci vogliono diverse centinaia di migliaia di euro. Abbiamo un’assicurazione, ma la situazione è complicata: dobbiamo vedere se le spese vengono pagate dall’assicurazione, altrimenti dovremo trovare 200-300mila euro e fare una modifica del Bilancio. Appena possibile rimuoveremo tutte le scritte».
