Agricoltura e sicurezza alimentare: l’Europa rischia di sottovalutarle

Se guardiamo alle fondamenta su cui è stata costruita l’Unione Europea, troviamo tre grandi protagonisti: la terra, il cibo, la pace. Tutto questo si riassume in una sola parola: Agricoltura. Il legame tra Europa e agricoltura non è accessorio, è genetico. I padri fondatori capirono, con la lucidità di chi aveva visto la guerra e la fame, che non poteva esistere un continente di pace senza la certezza del pane.

Il settore primario aveva una missione chiara: garantire cibo ai cittadini a un prezzo equo e, allo stesso tempo, assicurare un giusto profitto a chi quel cibo lo produceva. È su questo patto sociale che nasce la Politica Agricola Comune (PAC). Non come sussidio, ma come pilastro di stabilità dell’economia europea. Come elemento di sicurezza della nostra vita. Ebbene, oggi dobbiamo avere il coraggio e l’onestà intellettuale di dire che quel patto rischia di essere tradito. Siamo di fronte a un cambio di paradigma pericoloso: il nuovo progetto di PAC e le attuali discussioni sul budget europeo stanno minando le basi stesse della nostra sicurezza alimentare. Ed è proprio questo il motivo che ci spinge a non tacere, a mobilitarci, a far sentire la nostra voce critica. Perché queste scelte arrivano nel momento storico peggiore.

Il mondo intorno a noi è cambiato. Il concetto stesso di Occidente vacilla. I conflitti si moltiplicano alle porte di casa nostra. E mentre le grandi potenze globali blindano le proprie riserve alimentari, considerandole asset strategici al pari dell’energia o della difesa, l’Europa sembra distratta, quasi disposta a sacrificare la propria sovranità alimentare sull’altare di un’ideologia che ha perso il contatto con la realtà.
È un paradosso storico: è come se l’Europa avesse deciso di compiere un disarmo unilaterale del cibo. Mentre nazioni come la Russia stanno blindando i propri granai e affilando le armi della produzione agricola considerandole strategiche quanto i missili, l’Europa sta inspiegabilmente abbassando lo scudo. Sessant’anni fa abbiamo costruito l’Unione sull’acciaio per difenderci e sul grano per sfamarci. Oggi, togliere all’agricoltura lo status di asset strategico non è una scelta economica: è un rischio per la sicurezza nazionale.

L’attuale proposta della Commissione Europea manca di visione. Manca di quella forza necessaria per sostenere l’agricoltura mentre affronta le sfide più complesse della sua storia. Anzi, sembra disegnata per fare passi indietro. È una proposta che ci allontana dal mercato, ci allontana dalla competitività e tradisce quella promessa di semplificazione che le imprese attendono da anni. Il rischio più grave è l’allontanamento dall’autosufficienza. I tagli previsti rischiano di esporre l’Italia e l’Europa a nuove speculazioni internazionali, in una forbice che vede aumentare i costi per i consumatori e crollare i redditi per i produttori. In questo quadro si inserisce un nodo cruciale delle relazioni internazionali: la reciprocità. Non possiamo accettare un mercato aperto a senso unico. Il principio di reciprocità deve diventare il cardine non negoziabile di ogni accordo commerciale: chi vuole esportare verso l’Unione Europea deve rispettare le stesse, identiche regole produttive, ambientali e sociali imposte ai nostri agricoltori. Non esistono scorciatoie. Importare cibo prodotto con standard inferiori ai nostri non è solo concorrenza sleale verso le imprese europee: è un inganno verso i consumatori e una minaccia agli standard di sicurezza che abbiamo faticosamente costruito. O le regole valgono per tutti, o il mercato libero diventa una giungla in cui l’Europa soccombe.

È proprio su questo terreno che si gioca la partita del Mercosur. A tal proposito, esprimiamo un apprezzamento per la posizione assunta dal Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Nelle sue comunicazioni alla Camera in vista del Consiglio UE, la Premier ha usato parole di grande concretezza, affermando che firmare l’accordo “nei prossimi giorni come ipotizzato sia ancora prematuro”. Condividiamo totalmente la necessità di attendere che il pacchetto di misure aggiuntive a tutela del settore agricolo sia perfezionato e, passaggio fondamentale, che venga illustrato e discusso con noi agricoltori. L’Italia non intende bloccare tutto a priori, ma la Premier ha chiarito che il nostro Paese “intende approvare l’accordo solo quando include adeguate garanzie di reciprocità per il nostro settore agricolo”.

Questa è la linea che Confagricoltura sostiene da sempre: apertura ai mercati sì, ma solo a parità di condizioni. Siamo fiduciosi, come auspicato dalla stessa Meloni, che con l’inizio del prossimo anno queste condizioni possano verificarsi, ma resteremo vigili affinché le tutele siano reali e non solo formali. A Bruxelles lanciamo quindi una sfida chiara. All’Europa non chiediamo solo regole, né assistenzialismo. Chiediamo una visione nuova di politica industriale che unisca sostenibilità ambientale e sostenibilità economica. Se vogliamo un continente libero e forte, dobbiamo tornare a produrre, a investire, a difendere il nostro modello. L’Europa è il nostro spazio di futuro, ma va coltivata con regole giuste, non soffocata dalla burocrazia o svenduta a logiche che non ci appartengono.