Alla conquista di Marte, ma i costi sono enormi

Per scalare una montagna altissima, diciamo l’Everest, per prima cosa si allestisce un campo base a una quota intermedia, dove acclimatarsi. Da lì sarà più agevole raggiungere la vetta, perché una parte della salita è già stata fatta. Nessuno sa con certezza come portare su Marte un equipaggio umano. Tra poco dirò perché è tanto più complicato che inviare le macchinette che stanno scorrazzando sulla sua superficie, Opportunity e Curiosity. Quello che però molti ritengono indispensabile è seguire la strategia di ascensione all’Everest: usare un trampolino da cui saltare su Marte. Però, a differenza del campo base delle spedizioni sull’Everest, che può essere collocato in vari posti, c’è solo una possibilità per il campo base della spedizione su Marte: la Luna. L’obiettivo della missione spaziale più importante della storia passata è declassato a rampa, a trampolino. Così va la tecnologia…

Eppure non è un trampolino facile da raggiungere e da preparare per il lancio. Bisogna studiare come adibire la Luna a questa funzione, poi installarci una base permanente e, infine, stabilire come preparare la missione per Marte. Tanto per sgranchirci le gambe, torneremo sulla Luna con la Missione “Artemis”, Diana, sorella di Apollo, proprio a indicare che il prossimo uomo sulla Luna sarà… una donna. Il politically correct arriva in cielo. La tappa successiva sarà mandare in orbita intorno alla Luna una stazione spaziale, simile – per intenderci – a quella su cui sono stati Guidoni, Cristoforetti e si trova tuttora Parmitano. E qui già nascono i primi problemi. Intendo problemi gravi, perché non è una passeggiata andare sulla Luna, neanche dopo oltre 50 anni dallo sbarco dell’Apollo 11. Il problema sono i Raggi Cosmici. I Raggi Cosmici sono particelle cariche, che viaggiano nel cosmo a velocità folli e investono qualunque corpo celeste.

Se colpiscono materiale biologico lo riducono a mal partito. Sulla Terra abbiamo due difese, l’atmosfera, che in gran parte li blocca, come un cappotto -anche se non perfettamente impermeabile- trattiene gran parte della pioggia e il campo magnetico terrestre, che li devia e li fa passare lateralmente, come un ombrello fa con le gocce di pioggia. Quindi sulla Terra la pioggia di raggi cosmici non ci preoccupa particolarmente. Gli astronauti (continuiamo a chiamarli così per convenzione, ma Parmitano sta a 400 km di altezza, meno della distanza Roma-Milano, altro che sulle stelle) non sono protetti dall’atmosfera, che è confinata a quote molto più basse. Dunque non hanno il cappotto, ma hanno pur sempre l’ombrello. Quando invece ci si avventura nello spazio interplanetario, né cappotto, né ombrello. Si è nudi sotto la pioggia cosmica.

È questo il caso della futura stazione orbitante lunare e degli astronauti della missione su Marte. La stazione orbitante lunare permetterà di sperimentare i metodi di protezione e le tecnologie richieste nel viaggio verso Marte. Infine, bisognerà allestire il campo base sulla Luna. Si comincerà con la costruzione di una base permanente. Per chi se lo ricorda, proprio come la base lunare Alpha di “Spazio 1999”, lo sceneggiato di fantascienza degli anni 70.  Come fareste voi per fabbricare un edificio che possa costituire un insediamento permanente sulla Luna? Il metodo più intuitivo è probabilmente di sparare dalla Terra i materiali da costruzione e assemblarli sul posto. È il metodo teoricamente più semplice, ma praticamente quasi impossibile. Quanti missili carichi di materiale dovrebbero essere inviati sulla Luna? Che spesa immensa e insostenibile sarebbe? No, niente da fare. Bisogna usare il pensiero laterale e sfruttare soluzioni tecniche più innovative: realizzeremo la base con i materiali già presenti sulla Luna!

La polvere che ricopre il suolo lunare, la regolite, sarà usata come materiale da costruzione. Sì, vabbè, ma quanti muratori astronauti dovremo mandare per impastare la calce e aprire il cantiere?
Ho detto pensiero laterale e soluzioni innovative. Niente muratori. Una stampante 3D e una squadra di piccoli robot come Wallie. Le stampanti 3D per la costruzione di grandi edifici già esistono. L’associazione di Francesco Rutelli ha perfino proposto di ricostruire una copia degli edifici di Palmyra distrutti dall’Isis. Ora gli ingredienti ci sono tutti per poter immaginare, per adesso solo immaginare, la missione su Marte. Useremo la Luna, studieremo bene i problemi biologici della permanenza nello spazio esterno con la nuova stazione orbitante, costruiremo un po’ alla volta una base permanente, che poi trasformeremo in base missilistica. E poi si parte? Eh, magari fosse tutto risolto.

L’impresa della conquista di Marte è il più titanico progetto mai concepito nella storia dell’uomo. Tutto quello che è stato fatto finora, dalle conquiste di Alessandro Magno, a quelle di Gengis Khan, o Napoleone; dalla scoperta dell’America, a quella dell’Australia; dalla conquista dell’Antartide, allo sbarco sulla Luna; dalla costruzione della bomba atomica (dio ci perdoni), a quella dell’Lhc di Ginevra sono giochi da ragazzi, a confronto. Il viaggio su Marte dovrà essere un’impresa planetaria, uno sforzo globale a cui contribuiscono tutti i Paesi tecnologicamente avanzati del mondo, magari coordinati dall’Onu. Anzi, la precondizione per la fattibilità del progetto sarà che tutti i Paesi, per la prima volta nella storia, accantonino rivalità e antagonismi e collaborino convintamente al successo dell’impresa. Un vecchio detto recita: «Se vuoi creare spirito di corpo in gruppo di persone, falle lavorare insieme».

Ancora non siamo entrati nello spirito che dovrà animare questa pacifica conquista, ma ci sono già volontari disposti a tutto, pur di andare. Quattrocento persone si sono già offerte per iniziare l’addestramento al viaggio, anche se questo dovesse essere di sola andata! Aspiranti suicidi interplanetari… Ma la domanda è: ha senso profondere tutto questo sforzo economico, tecnologico, politico, per andare su Marte? Ci vogliamo davvero insediare lì? Di ossigeno ce n’è poco in atmosfera. Recentemente si è osservato un comportamento imprevisto dell’ossigeno, fluttuazioni anomale della sua concentrazione, ma resta sempre troppo poco. Si potrebbe ricavare per via chimica, visto che il 95% del gas presente su Marte è anidride carbonica (per i due terzi composta da ossigeno). Però è ossigeno legato al carbonio, andrebbe isolato. Vabbè si può fare, non è il problema principale.

E l’acqua? Sembrava ce ne fosse in superficie, ora pare di no. Forse nel sottosuolo. Facciamo decine di milioni di chilometri per andare a vedere se c’è acqua infiltrata? O se per caso c’è qualche microorganismo nascosto sotto qualche roccia? Ciascuno può dare la sua risposta. Io propongo la mia. Le grandi imprese tecnologiche hanno comportato progressi nella scienza e nella vita quotidiana inimmaginabili. La missione Apollo ci ha lasciato uno strascico di invenzioni che sono entrate a far parte della nostra vita. I trapani e gli aspirapolveri senza fili; i materassi a memoria di forma; i moderni pneumatici per le auto; gli arti bionici; il latte artificiale per neonati allergici; la coperta termica per gli sportivi; i dispositivi che assistono le pulsazioni dei cardiopatici; le lenti antigraffio per occhiali, solo per elencarne alcuni. Ogni dollaro investito, ha fruttato sette volte tanto. Poi c’è il monito di Dante, gli uomini sono (o dovrebbero essere) fatti per seguire virtù e conoscenza.

La missione su Marte sarebbe un modo straordinario per onorare il Divino. Infine, la collaborazione internazionale, presupposto per la pace tra i popoli. Dice Manzoni, a proposito dell’assedio di Casale, che c’è sempre da rallegrarsi quando, per qualunque ragione, rimanga morto o storpiato qualche uomo di meno. Se anche una sola, piccola, guerra sarà risparmiata dalla necessità di aiutarsi e cooperare, allora sì, ne sarà valsa comunque la pena.