Alla Maturità 2025 solo temini: tracce sempre più facili e spariscono le argomentazioni

Pasolini, il Gattopardo, l’Antropocene e il rispetto, Borsellino e l’indignazione come motore dei social. Belle o brutte, profonde o superficiali, attuali o anacronistiche, su tutto si può discutere in merito alle tracce dell’Esame di Stato, ma su una cosa no: sono diventate facili, sempre più facili. Provate a riprendere in Rete quelle del 2019 (praticamente ieri!) e troverete una distanza abissale per lunghezza e complessità dei testi, ma soprattutto per la difficoltà delle consegne.

Il vicolo cieco

A un certo punto, tra le domande di comprensione delle tracce di ieri, ce n’è una che recita: “Illustra il significato dell’espressione ‘vicolo cieco in cui ci siamo infilati’”. Ora, estrapolate l’espressione da qualsiasi testo o contesto, e provate a spiegare dal nulla l’espressione “vicolo cieco in cui siamo infilati”. Vi assicuro che la vostra risposta sarà accettabile. Non ci sarà neanche bisogno di leggere il testo, che, per la cronaca, è di Telmo Pievani e riguarda i rischi dell’Antropocene, tipologia B. Sempre per la tipologia B è stato proposto un testo di Riccardo Maccioni sul rispetto. Dovrebbe essere la traccia argomentativa, ci sarebbe da sostenere un’opinione con argomenti solidi, e invece nella consegna si chiede semplicemente “sviluppa il tuo punto di vista sulla tematica trattata”. Vale a dire: “Mi scrivi il tuo pensierino sul rispetto?”. Come alle scuole medie. So, per esperienza, che i commissari rileggeranno in altra forma (nei casi migliori) ciò che è scritto nel testo proposto.

Per Valditara torna la Maturità

Che l’Esame debba cambiare è un dato di fatto di cui si è accorto anche il ministro Valditara. E infatti nei giorni scorsi ha annunciato che dall’anno prossimo si comincerà dal nome. “Non si chiamerà più Esame di Stato, ma si tornerà a chiamarlo Esame di Maturità”. Noi non ci limitiamo a pensare che debba cambiare: pensiamo che debba sparire, ma intanto è già un buon passo, certamente simbolico, ma non privo di significato. La scuola, e così l’Esame, non sono dello Stato e per lo Stato, ma delle persone e per le persone. Già nelle prime pagine delle nuove Indicazioni nazionali per il primo ciclo avevamo colto qualche buon segnale in questo senso; nelle premesse pedagogiche – che pochi hanno letto, soffermandosi sulle cose marginali, come poesie a memoria e latino – le prime parole sono di Giorgio La Pira: “La Costituzione mette al centro la persona e concepisce lo Stato per l’uomo e non l’uomo per lo Stato”.

La ceralacca

Adesso auspichiamo che la scomparsa della parola “Stato” porti via con sé anche tutto l’armamentario formalistico (all’Esame si usa ancora la ceralacca!) che connota questo rito fuori tempo e senza senso (abbiamo già scritto dello squilibrio gigantesco tra le valutazioni Invalsi e quelle degli Esami di Stato, dove le variabili territoriali incidono troppo, determinando una totale insignificanza del punteggio e del suo valore legale a livello nazionale). Ancor più interessante, perché non solo simbolico, è un altro annuncio del ministro nella stessa intervista dei giorni scorsi: “L’Esame dovrebbe essere un’occasione per mostrare quanto il percorso scolastico ha inciso sulla consapevolezza, l’autonomia e la capacità critica dei ragazzi”. Lo salutiamo con piacere perché rilancia un’altra grande domanda: ha davvero senso e utilità tutto ciò che insegniamo? Quali sono le ricadute sul concreto sviluppo della persona? È quella che da anni, nel mondo della scuola, rimanda a un’altra questione che abbiamo definito “la domanda delle domande”: cosa togliere? O anche, cosa non incide?

Il colloquio

È un contesto, la scuola, dove fare e documentare risulta spesso più importante che valutare il proprio operato e le sue ricadute. Fare ciò che è prescritto, come è tipico nei contesti impiegatizi, risulta più decisivo che interrogarsi su ciò che serve, tra forza della consuetudine ed eccesso burocratico. Altra buona promessa del ministro: “Si rafforzerà la valutazione, soprattutto del colloquio, che dovrà non solo misurare le conoscenze ma anche come il percorso scolastico abbia fatto crescere nello studente responsabilità e autonomia per affrontare in modo maturo la vita”. È totale il nostro accordo con questo intento, ma ci permettiamo una domanda e un consiglio: ha visto, il ministro, come sono stati ridotti altri sensati stimoli aggiunti all’Esame di recente, come l’orientamento e l’educazione civica? Tutto relegato agli ultimi tre o quattro minuti, frettolosi e annoiati, di un colloquio dove sembra che abbia valore solo ed esclusivamente il resto, ovvero le nozioni.

A proposito, se si vuole essere ancora più coerenti con queste buone intenzioni, si ragioni anche sull’opportunità di tornare a dare più peso valutativo al percorso dello studente rispetto all’Esame, allo sguardo di chi conosce un ragazzo da tre o cinque anni e non a quello di chi lo ascolta per 30 minuti. Mettere al centro la persona significa anche saperne osservare il cammino, non solo l’approdo.