Era il 1945 quando le Nazioni Unite si riunirono per la prima volta mentre il mondo usciva dalla Seconda Guerra Mondiale. Ora, dopo 80 anni, il mondo sembra essere piombato in un regno di anarchia geopolitica, con gli Stati Uniti in arretramento, l’Europa sempre più debole, Cina e Russia che vogliono sfidare l’ordine internazionale a trazione americana. E con un’altra parte del mondo, il cosiddetto Sud globale, che cerca di farsi spazio.

All’Onu il vertice per riconoscere la Palestina, l’Italia rimane cauta

Le sfide, per le Nazioni Unite, non mancano di certo nemmeno oggi. Ma dopo 80 anni, al Palazzo di Vetro regna soprattutto un senso di logoramento. I dossier non vengono risolti. L’istituzione appare stagnante. E negli ultimi anni, due guerre stanno mettendo a nudo tutta la fragilità della comunità internazionale. La Russia continua la sua invasione dell’Ucraina. Mentre il conflitto nella Striscia di Gaza continua a dividere il mondo ed è entrato prepotentemente nell’agenda di questa tre giorni Onu, usata come vetrina da diversi Paesi per annunciare il riconoscimento dello Stato di Palestina.

Dopo le mosse di Australia, Canada, Portogallo e Regno Unito, ieri l’attesa era tutta rivolta alla Francia, il cui presidente, Emmanuel Macron, ha organizzato, a margine dell’Assemblea generale, il vertice per la soluzione dei due Stati insieme al principe saudita Mohammed bin Salman. Ma la Conferenza internazionale voluta da Parigi e Riad anche per riconoscere lo Stato palestinese sembra un nuovo step simbolico. Alcuni Paesi, tra cui Germania e Italia, ritengono che quella di Parigi sia una accelerazione senza effetti pratici. La premier Giorgia Meloni, che parlerà domani al Palazzo di Vetro, è stata già chiara, preferendo adottare una linea cauta. E il ministro degli Esteri Antonio Tajani, anche lui a New York, ha ribadito quella che è la strategia del governo. “Il sostegno italiano al processo per il riconoscimento del futuro Stato palestinese, una volta che esso sarà stato costituito, con la riunificazione di Gaza e Cisgiordania” ha ricordato il vicepremier, ma anche “uno Stato palestinese libero da Hamas, come sancito dalla Risoluzione Onu co-sponsorizzata dall’Italia adottata il 12 settembre scorso”. Mentre l’amministrazione Trump ha messo già diversi paletti e avvertito dei rischi di questa svolta della diplomazia mondiale.

Hamas scrive a Trump per 60 giorni di tregua

La partita politica è complicata. Il governo di Benjamin Netanyahu ha già fatto capire che il riconoscimento della Palestina viene considerato da Israele un premio ad Hamas. Ieri, la milizia ha pubblicato un nuovo video con l’ostaggio Alon Ohel, che dalle ultime immagini sembra stia ormai perdendo la vista all’occhio destro. E nelle stesse ore Hamas ha anche scritto una lettera al presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, offrendo una tregua di 60 giorni in cambio del rilascio della metà degli ostaggi. La lettera, secondo Fox News, è stata consegnata ai funzionari del Qatar, che a loro volta la daranno al capo della Casa Bianca durante i prossimi giorni nel corso degli incontri a New York. Ma l’impressione è che il tycoon non abbia intenzione di seguire le offerte del gruppo. Trump ha già chiarito più volte che Hamas deve rilasciare tutti i rapiti, sia quelli vivi che quelli morti, in un’unica soluzione e deve deporre le armi. Gli accordi parziali non sono nell’agenda del presidente degli Stati Uniti né di Netanyahu. E il sostegno all’operazione a Gaza, da parte di Washington, è stato già confermato.

“Continueremo ad agire con determinazione finché non raggiungeremo tutti gli obiettivi della guerra, per garantire il nostro futuro nella nostra meravigliosa terra” ha detto ieri il primo ministro israeliano in un videomessaggio. E a un evento per Rosh Hashanah, il capodanno ebraico, Netanyahu è stato altrettanto netto. “Siamo in una lotta in cui stiamo prevalendo sui nostri nemici, dobbiamo distruggere l’asse iraniano e abbiamo la forza per farlo” ha detto il capo del governo, “questo è ciò che ci aspetta per il prossimo anno, che potrebbe essere un anno storico per la sicurezza di Israele”.