La prima volta che un europeo entra in uno dei famosi american bar a mille luci di New York si fa spazio al bancone a 360° in mezzo a grossi e grassi statunitensi troppo sudati. Prende il cocktail e in piedi dà un sorso sperando di non rovesciarlo.
In ogni caso, bere un Long Island al bancone dell’american bar è come la democrazia: egalitario ma scomodo; un fatto pubblico ma di dominio privato, come la scelta di un buon gin.
Nell’ubriachezza generale da dichiarazioni sull’assalto di Capitol Hill molto ha fatto discutere l’esclusione del quasi ex-presidente Donald Trump dai social network.
È la prima volta che un’azienda privata nordamericana, tace un presidente nordamericano.
Un tripudio di ovazioni da una parte e di condanne di censura dall’altra ha accompagnato la cacciata da parte di Mark Elliot Zuckerberg & company del profilo del potente, famigerato e famoso intrattenitore a stelle strisce della loro clientela.
Il post che ha motivato il blocco a tempo indeterminato da Facebook di The Donald ha però rivelato un fatto valido per tutti, che il discorso politico ha una policy aziendale: “Negli ultimi anni, abbiamo permesso al Presidente Trump di usare la nostra piattaforma in linea con le nostre regole, a volte rimuovendo contenuti o etichettando i suoi post quando violano le nostre normative”, ha scritto il CEO e fondatore della piattaforma statunitense da due miliardi di utenti. “Nostro”, ripetuto tre volte in meno di tre righe del messaggio, non affari che riguardano la nostra società.
Qualcosa di diverso dalla scelta di Abc, Cbs e Nbc di interrompere la diretta della conferenza stampa di Trump dopo le elezioni di novembre. Anche queste aziende private, come in quasi tutti i media, ma che hanno agito secondo le loro prerogative di organi di informazione e sulla base di decisioni prese da una redazione.
Anche Twitter, il primo dei social che aveva adottato altre misure restrittive già in passato, ha spiegato le sue ragioni della scomunica, dovuta alla violazione della sua Civic Integrity policy.
Giusto, sbagliato? Colpa dei social network, il non luogo della parola per eccellenza, se negli USA si è arrivati ai morti nel palazzo del Congresso, un luogo della parola per eccellenza? E perché a centinaia di chilometri ci sentiamo così coinvolti? Domande tipiche da sofisticato bevitore europeo. Noi che, in fondo, gli statunitensi non li abbiamo mai veramente capiti, anche se entrambi sappiamo che il bar è un luogo pubblico ma non di proprietà di chi lo frequenta.
“Nel bene e nel male, questo sarà ricordato come un punto di svolta nella battaglia per il controllo del digital speech”, ha scritto Edward Snowden. Infatti, dopo le Primavere arabe e il caso Cambridge Analytica ancora una volta è in questione il ruolo dei social network per quanto riguarda la libertà di espressione e influenza sull’opinione pubblica.
Gli standard della community dell’azienda di Mark Elliot Zuckerberg mutano ogni anno, non sono una legge ma toccano l’ambito dei diritti, inoltre suonando come un manifesto populista facilmente riassumibile in questa frase scritta nel bugiardino in Facebook: “Il nostro impegno verso la libertà di espressione è essenziale, ma siamo consapevoli che Internet crea nuove e maggiori opportunità di usi impropri”.
Già, libertà di espressione ai tempi della digitalizzazione.
Internet e la tecnologia hanno svolto negli anni un ruolo liberatore dei costumi e delle idee, ma oramai pare esserci una scollatura tra il mondo libero di Internet e il mondo dei social network, per lo meno per quanto riguarda l’esercizio di potere da quelle parti.
Senza dover cadere e scadere nel cliché dell’accusa di censura, la democrazia retta dalle sue politiche aziendali è un fatto privato di dominio pubblico, come un gin scelto dall’american bar per tutti. Constatazione che vale anche oltre i social network (in Italia l’abbiamo visto con i 5 stelle).
Forse ad oggi l’unica speranza di questi non luoghi regolati da veri umani è nel dominio definitivo dell’intelligenza artificiale: una regina macchina per il regno delle macchine.
Ma in fondo l’assalto di Capitol Hill ha dimostrato che le parole sono ancora, nel bene e, in questo caso, nel male, dominio degli uomini e delle realtà.
Inoltre, lo sanno tutti che i pub sono meglio degli american bar.
