Molte sono le versioni favolistiche sulla nascita di Napoli. Secondo una di esse, la sirena Partenope rifiutata da Ulisse, insensibile al suo canto si lasciò morire e il suo corpo finì vicino all’isolotto di Megaride: la testa è Capodimonte, la coda abbraccia la collina di Posilipo. Matilde Serao narra, invece, di una fanciulla innamorata di Cimone, eroe greco e con lui (giacché il padre l’aveva promessa ad altri) in fuga verso il nostro golfo, che essi popolarono dei primi abitanti, nati dal loro amore. Entrambe queste varianti trasfigurano la realtà storica della fondazione da parte dei Greci nell’ottavo secolo avanti Cristo.
Una più recente, ottocentesca, è centrata ancora sull’amore, ma tra i giovani Partenope e Vesuvio. Zeus, geloso del secondo, lo trasforma in un vulcano, la ragazza, non sopportando la separazione, si uccide e il suo corpo finisce appunto a Megaride. Qualunque sia il racconto che si preferisca, la data convenzionale in cui si compiono gli eventi si finge convenzionalmente, secondo la leggenda, il ventuno di dicembre e dunque oggi celebriamo una nascita, comunque a partire dal sacrificio di un personaggio mitico che fa generoso dono di sé. Auguri, Napoli, invero Araba Fenice mille volte morta e altrettante risorta dalle sue ceneri, però mai doma o arresa.
Oggi hai una classe dirigente volenterosa di ripartire e dotata allo scopo di risorse da tempo chieste e ha valore simbolico la riapertura al traffico della galleria della Vittoria, come una vena liberata da un’ostruzione perché il sangue ritorni a scorrervi fluidamente. Ti attendono molti cimenti, dal vederti riconsegnata alla fruibilità una Bagnoli riconvertita al turismo, dopo il sogno di sviluppo industriale dell’acciaieria, al recupero delle periferie, a quello di una qualità di vita più degna, ma il coraggio non ti manca. Volesse il cielo che la pandemia sia servita a ricordare alla tua gente la dote migliore cui attinge dopo ogni disgrazia: lo stringersi assieme nella solidarietà.
