L'€conomista
Auto elettriche, Di Rubbia: “Lo stop agli endotermici era scollegato dai tempi dell’industria. Serve un piano nuovo”
La settimana che porta alla presentazione del nuovo pacchetto europeo sull’automotive segna un passaggio delicato per una filiera che, solo nella componentistica, ha registrato nel 2024 oltre 24 miliardi di export e uno dei più alti avanzi commerciali d’Europa. La possibile revisione dello stop agli endotermici e le nuove proposte sulle E-Car riaccendono il confronto sulla sostenibilità economica della transizione. In questo contesto Alberto Di Rubba, responsabile Automotive della Lega, traccia le priorità della filiera e i punti più sensibili del nuovo confronto europeo.
Quanto è realistico un cambio di rotta e quali effetti avrebbe da subito su investimenti e competitività della filiera italiana?
«Bruxelles non può più ignorare gli effetti delle proprie scelte. Lo stop agli endotermici, così com’era stato concepito, era scollegato dai tempi dell’industria. I risultati si vedono: investimenti bloccati, imprese che non riescono a programmare e territori nell’incertezza. La domanda vera è: chi pagherà i danni provocati da una linea sbagliata? Una revisione è inevitabile e sarebbe il primo passo per restituire stabilità a una filiera che ha bisogno di regole chiare e non di scadenze imposte senza valutarne le conseguenze».
Le nuove proposte sulle E-Car arrivano in una fase in cui il mercato sta cercando un equilibrio tra prezzi, domanda e capacità produttiva. Quali fattori ritiene più determinanti per favorire una crescita ordinata del settore?
«Prima impongono regole irrealistiche, poi si inventano una categoria che non è né davvero elettrica né endotermica. E ogni volta Bruxelles limita la libertà di scelta: vogliono decidere che auto comprare e quali tecnologie devono esistere. Noi chiediamo il contrario: più libertà, più possibilità, più mercato. Non altri divieti e imposizioni».
Una parte della filiera sta affrontando una fase complessa, tra cambiamenti tecnologici e incertezze regolatorie. Da cosa nascono queste difficoltà e quali leve possono sostenere la filiera italiana?
«Le difficoltà derivano da una transizione imposta dall’alto, senza ascoltare chi produce. Norme instabili, costi elevati e scadenze anticipate hanno creato pressione su tutta la filiera. Servono pragmatismo e neutralità tecnologica. Le imprese italiane hanno competenze eccezionali, ma non possono operare in un contesto dove le regole cambiano di continuo. Serve un percorso graduale, con tempi realistici e un quadro stabile che accompagni davvero aziende e lavoratori».
Molti costruttori chiedono di superare il modello “solo elettrico” e tornare alla neutralità tecnologica. Quali alternative ritiene mature per sostenere la transizione senza indebolire industria e occupazione?
«BMW, Mercedes, Porsche, Renault hanno rivisto i loro piani sull’elettrico perché la domanda non cresce come previsto e i costi restano alti. L’appello è arrivato perfino da Mario Draghi, uno dei principali sostenitori del Green Deal, oggi ammette che non è sostenibile. Le alternative esistono: biocarburanti ed endotermico pulito. Sono soluzioni che riducono le emissioni senza demolire industria, competenze e posti di lavoro. La transizione deve essere una competizione fra tecnologie, non un dogma imposto».
In questa fase l’Italia chiede una linea più pragmatica. Qual è il contributo della Lega e qual è il messaggio alle imprese?
«La Lega riporta realismo in un dibattito dominato dall’ideologia. Siamo stati i primi con Matteo Salvini a denunciare gli effetti del modello “solo elettrico” e continuiamo a chiedere neutralità tecnologica e tempi sostenibili. Alle imprese dico: non siete sole. Continueremo a difendere la filiera italiana in ogni sede. Parlo anche per esperienza personale: sono un imprenditore del settore e so quanto l’incertezza normativa pesi sulla vita delle aziende. La Lega continuerà a battersi perché questa transizione non distrugga un patrimonio industriale decisivo per il Paese».
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