I dati di Motus-E parlano chiaro
Auto elettriche, Ue in ritardo e l’Italia arranca: il mercato resta al 5% perché “senza incentivi e strategia industriale”
I dati di Motus-E mostrano un +31% nei primi otto mesi del 2025, ma la distanza con Francia, Germania e Regno Unito rimane enorme.
Quando Mario Draghi prende la parola a Bruxelles e parla di auto elettrica, non parla soltanto di trasporti o di clima. Parla di industria, di lavoro, di competitività. L’ex presidente della BCE ha ricordato che la scadenza del 2035, pensata per avviare un circolo virtuoso di investimenti, innovazione e riduzione dei costi, non ha prodotto i risultati sperati: la rete di ricarica è ancora troppo lenta a crescere, i modelli restano costosi, l’Europa ha accumulato ritardi e la politica delle catene di fornitura è frammentata. E mentre il parco auto invecchia, la Cina guadagna terreno.
Il cuore del messaggio è chiaro: senza una politica industriale attiva e una visione integrata – che tenga insieme infrastrutture, supply chain e nuove tecnologie – il rischio è di perdere un’occasione epocale. Draghi lo ha detto con franchezza: attenersi rigidamente all’obiettivo del 2035 potrebbe rivelarsi irrealizzabile e soprattutto spalancare ulteriormente le porte alla concorrenza asiatica. Se questo è lo scenario europeo, in Italia la questione diventa ancora più urgente. Il nostro Paese sconta un ritardo che riguarda il posizionamento industriale di una filiera che dà lavoro a centinaia di migliaia di persone e vale una fetta cruciale del Pil. I dati di Motus-E parlano chiaro: nei primi otto mesi del 2025 le immatricolazioni full electric sono aumentate del 31%, con una quota di mercato attorno al 5%. «Segnali positivi, certo – osserva Fabio Pressi, presidente di Motus-E – ma siamo ancora molto indietro rispetto a Francia e Germania, che sfiorano il 17-18%, al Regno Unito sopra il 21% e a Paesi come Belgio e Olanda che hanno già superato il 30%». Il nodo, spiega Pressi, è quello degli strumenti di sostegno. «In questa fase della transizione gli incentivi restano molto utili, come dimostra l’evoluzione degli altri grandi mercati Ue. Ma serve stabilità altrimenti è impossibile programmare gli investimenti per le aziende e gli acquisti per le famiglie».
C’è poi il capitolo infrastrutture. Qui i progressi sono visibili ma non sufficienti: al 30 giugno 2025 si contavano 67.561 punti di ricarica pubblici, con oltre 1.150 installati sulle autostrade. «Quasi la metà delle aree di servizio è dotata di colonnine – ricorda Pressi – segno che l’impegno degli operatori sta dando frutti. Ma bisogna continuare ad aumentare la capillarità, soprattutto nel Mezzogiorno, semplificando gli iter autorizzativi e rafforzando la collaborazione pubblico-privato». E c’è un altro nodo, quello dei prezzi: «Oggi gli operatori pagano l’energia a livelli che, in assenza di un parco circolante all’altezza degli standard europei, si riflettono sul costo della ricarica pubblica. Interventi regolatori mirati potrebbero fare davvero la differenza». Ma il punto, insiste Pressi, non è soltanto ambientale. «L’elettrificazione rappresenta il futuro della mobilità, indipendentemente dal dibattito sul 2035. La nostra industria non può non farsi trovare pronta. Rimanere indietro non è un’opzione». L’Italia ha un tessuto imprenditoriale «straordinario, che va accompagnato e supportato con politiche industriali orientate all’innovazione. Solo così l’elettrico può diventare un vero motore di crescita per tutta la filiera».
La partita è anche culturale. Motus-E cerca di combattere la disinformazione con progetti come Facciamo chiarezza e WattsUp, dedicati soprattutto ai più giovani. «I falsi miti – dai dubbi sui benefici ambientali alle paure sugli incendi – non hanno basi scientifiche. Serve trasparenza, serve un dibattito pubblico serio. Sono i fatti, non i pregiudizi, che devono guidare le scelte degli automobilisti». Guardando avanti, Pressi indica la priorità: «Non perdere il treno dell’innovazione. Le analisi dell’Osservatorio TEA mostrano che quasi la metà delle aziende italiane dell’automotive non prevede investimenti significativi in nuovi prodotti. È un dato allarmante. Se non costruiamo un ambiente favorevole allo sviluppo della mobilità elettrica, rischiamo di condannare la filiera all’irrilevanza». Ed è qui che Draghi e Pressi finiscono per convergere: il tempo delle esitazioni è finito. Per l’Italia, la scelta è netta. Restare ancorati al passato, avverte il presidente di Motus-E, significa ripetere gli errori fatali di colossi come Kodak, Blackberry o Nokia. L’alternativa è una sola: correre, e farlo adesso.
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