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14 luglio, dalla Bastiglia alla presa di Palazzo Chigi

Avvocato e scrittore
14 luglio, dalla Bastiglia alla presa di Palazzo Chigi

Era sempre il 14 luglio, ma di circa 233 anni fa. La Bastiglia era il temutissimo carcere parigino nel quale erano imprigionati più avversari del regime che criminali comuni. E la “presa” dell’odiato simbolo del potere fu l’avvio di una rivolta talmente significativa che oggi il suo anniversario è celebrato come festa nazionale della “Marianna”. In effetti il vero prologo della Rivoluzione Francese avvenne qualche settimana prima a Versailles. Era il 20 giugno quando la borghesia abbandonò les états généraux e si riunì nella sala della Pallacorda formulando un giuramento di solidarietà e proclamandosi Assemblée nationale.

Anche quella fu una rottura politica e chissà se Conte avrà studiato a tavolino la singolare coincidenza per evocare allo strappo che avverrà oggi improbabili suggestioni storiche. Propendiamo per il no. Quello che invece è certo che i due eventi, oltre che per la data, sono assimilabili solo per una questione di semantica. E non solo perché Conte non è Bevière e i 5Stelle non sono il “III Stato”. Non solo perché Draghi non è Louis seize e Palazzo Chigi non è la Bastiglia. E neanche perché sono totalmente diversi i due contesti storici. Sono proprio le motivazioni che ispirano le due vicende ad essere profondamente diverse. Allora la borghesia era il reale volano dell’economia francese e produceva le ricchezze che nobiltà e clero sperperavano. La rivoluzione fu resa necessaria dalla fame e dall’oppressione.

Lo strappo dei “Contini”, invece, non trova le sue ragioni nella difesa dei deboli, nel riscatto degli oppressi, nell’affrancamento di un popolo dalle angherie di un tiranno che tra l’altro non c’è. Il non voto alla fiducia al governo Draghi, tra l’altro preannunciato nei giorni   precedenti da un serie di fibrillazioni, non è altro che una resa dei conti con Di Maio, una faida interna che poco ha a che vedere con i problemi del paese o con la coerenza politica. Il resto sono soltanto una carrellata di scuse e pretesti tra l’altro anche abbastanza patetici. Se non ci fosse stata la scissione dei Dimaiani quello che è successo non sarebbe accaduto. Dall’altra parte della barricata, poi, non è che ci stiano facendo una gran bella figura.

Si è già detto che l’autunno degli Italiani sarà feroce e affrontarlo dopo un voto a ridosso dell’estate e con un governo appena insediato, che ci metterà almeno due mesi per cominciare a capirci qualcosa, non è il massimo e non è neanche quel che serve. Per non parlare dello stallo per l’insediamento delle camere e poi le consultazioni. Almeno un mese dedicato a rituali e balletti di palazzo. Se tutto va bene si tornerà a fare e parlare di politica per l’inizio dei mondiali calcio.

No, non è proprio quel che serve al paese. C’è da sperare che questa classe politica guidata da leader schizofrenici che ieri hanno detto una cosa e oggi un’altra, ieri hanno ammonito “non sia mai il voto” e oggi il contrario, cerchi di essere responsabile e di rammentare che non si fanno campagne elettorali ad agosto, che non si sciolgono le camere a cinque mesi dalla scadenza naturale, che le elezioni anticipate sono un rimedio eccezionale e non una regola, che i problemi del paese sono incalzanti e gravi, che con una guerra in atto e una crisi energetica imminente mettersi a votare per bizze e isterismi farà ridere l’Europa intera.

C’è da sperare che il proclama “al voto, al voto” di oggi sia il tentativo di rinsavire “l’avvocato del popolo” e non una minaccia concreta.

Perché in effetti una maggioranza c’è anche senza i 5Stelle, si può andare avanti anche senza di loro, per guidare il paese fino a febbraio, sperando che a quell’epoca sia fuori dalle secche e con un ventaglio di problemi auspicabilmente ridotto, con almeno una tregua in Ucraina e prezzi più bassi alle pompe di benzina.

E poi la governabilità è un diritto per il popolo e un dovere per la politica,

Perché se davvero verranno sciolte le camere non resterà che pronunciare la famosa imprecazione che a Waterloo rese celebre Pierre Cambronne quando, circondato con il suo manipolo di guardie imperiali dagli inglesi, a Wellington che gli intimava la resa gridò: “merde”.

Era il 18 giugno 1815 e anche quella data passò alla storia.

P.S.: Giusto per chiarire merde è una imprecazione che in francese, a fronte di un imprevisto, ha lo stesso significato del nostro “o ca..o”.

 

 

 

 

 

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