Tra personalismi, microfoni e social, abbiamo dimenticato che la politica serve a unire e non a specchiarsi. È tempo di tornare a costruire una visione nazionale.
Il culto del personaggio
Oggi la politica parla troppo di sé e troppo poco dell’Italia. Ogni leader difende la propria immagine, ogni partito il proprio piccolo recinto. È diventata una sfilata di personalismi, di ego in competizione, di dichiarazioni pensate più per i social che per la società. Il risultato? Meno idee, più slogan. Meno contenuti, più apparizioni.
Dalla polis al palcoscenico
La politica dovrebbe partire dalla polis, la città degli uomini, e tornare alla comunità. Invece è diventata palcoscenico: si litiga per un titolo di giornale, non per una legge che migliori la vita dei cittadini. Abbiamo smarrito il senso del “noi”. Tutto ruota intorno al “io”: io leader, io movimento, io corrente.
L’Italia fuori campo
Nel frattempo, l’Italia resta ai margini. Si parla poco di lavoro, scuola, giustizia, sanità, ambiente. I grandi temi vengono compressi in battute televisive o tweet di trenta parole. Nessuno disegna più un futuro, si naviga a vista tra un sondaggio e l’altro. Eppure la politica nazionale dovrebbe servire a dare una direzione, non a inseguire l’onda del momento.
Visione o vanità?
C’è una differenza abissale tra governare e apparire. Tra costruire consenso e costruire Paese. La prima è vanità, la seconda è visione. Chi pensa solo a sé, lascia il vuoto dietro di sé. Chi pensa al Paese, lascia un segno.
Ricominciare dal noi
Servono meno leader che parlano e più persone che ascoltano. Meno polemiche e più idee. Bisogna tornare alla politica nazionale, quella che guarda ai territori come parti di un progetto più grande, quella che costruisce ponti, non recinti. Non è nostalgia: è urgenza. Perché la vera riforma, oggi, è ricominciare a fare politica. Ma sul serio.
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