Da sempre, chi si occupa di giornalismo e degli impatti che questo può avere in ambito politico, analizza la portata di uno strumento che esiste da sempre: la smentita.
Utilizzatissima in ogni ambito, la smentita ha mostrato tutta la propria pericolosissima natura di arma a doppio taglio nel caso del momento. L’affaire Sangiuliano/Boccia ha infatti una data di nascita molto precisa. Quando Maria Rosaria Boccia (26 agosto) pubblica un post per ringraziare il ministro della Cultura della nomina a consigliere per i Grandi Eventi, accade quello che novantanove uffici di comunicazione su cento avrebbero evitato come la peste. La smentita, appunto.
L’unica conseguenza contemplata in un frangente come questo è l’interesse. O meglio, l’esplosione dell’interesse. Mediatico, naturalmente. In particolare, in un periodo in cui l’acme del dibattito politico era toccato dalla improvvisa sparizione della Meloni, rifugiatasi in qualche giorno di vacanza riservata, era evidente a tutti (avrebbe dovuto esserlo) che, letta una smentita a una notizia di cui nessuno si era accorto, qualche giornalista si sarebbe fatto una domanda e avrebbe cercato di capirne di più.
È esattamente quello che è accaduto. Perché?
In tanti pongono una smentita e le sue conseguenze sullo stesso piano di una conferenza stampa. Se non si presenta nessuno sei fortunato. Ma se conti anche solo tre giornalisti, sei spacciato. Si potrebbe anche fare un parallelo con un banditore che gira per le strade della città urlando per farsi sentire il più possibile. Chi conosce già la notizia, ne apprende la smentita e amen. Chi non la conosce, si incuriosisce e cerca di approfondire.
Secondo alcuni analisti, persino smentire le notizie false risulta esercizio inutile e controproducente. Il metodo migliore sarebbe sempre quello di attendere che la scia dell’eco vada esaurendosi da sola. Spesso, invece, la smentita viene vista come un modo per silenziare una vicenda. Ma il giornalismo presenta connotati sempre più partigiani (non da oggi), per cui trovarsi di fronte a un tentativo di questo genere può non fare altro che sollecitare alcuni operatori dell’informazione.
Calandoci nel caso specifico, due considerazioni. La prima: poche settimane fa, “accettando le dimissioni” del suo social media manager per un errore molto più lieve di questo, il ministro Sangiuliano – giornalista con un trascorso prestigioso alla guida, tra gli altri, del Tg2 – aveva già mostrato scarsissima empatia con i professionisti della comunicazione. La seconda: lascia straniti che, proprio in virtù della sua conclamata professionalità, abbia avallato una decisione che poteva ben immaginare gli si sarebbe rivolta contro.
Eppure, è andata proprio così. Perché è dalla smentita degli uffici di Via del Collegio Romano che si è innescato il vortice di curiosità, ricerca, notizia, scoop. Un vero e proprio caso-scuola di tafazzismo 4.0.
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