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Del femminicidio di Pamela Genini

Avvocato, Giornalista Pubblicista e Presidente "Consiglio per la Parità di Genere"
Del femminicidio di Pamela Genini

Uccisa con due coltellate inferte alla gola, ma anche a mani nude, con un sasso, con l’acido, con il veleno per i topi, con una panchina di ferro: così gli uomini uccidono le donne. Altro che film horror, qui la realtà supera la fantasia anche perché, spesso, sono uomini che piuttosto che essere lasciati, pretendono di essere amati con la forza, impongono le loro regole, sovrastano la propria donna a tal punto che la disobbedienza deve essere pagata col sangue. Non nascono assassini (nessuno nasce assassino) ma lo diventano e nel modo più cruente possibile (ammesso che esista un modo soft per togliere la vita ad una persona), nell’incredulità generale di amici e parenti, tutti pronti a giurare che “sì era geloso ma mai avrei pensato che…”.

Ci sono invece persone pagate per “pensare che…” (e spesso è mero volontariato) e così facendo mentre tutti, vittima compresa, sottovalutano o non sanno gestire il pericolo, loro guardano avanti e proteggono fattivamente. Sto parlando dei centri antiviolenza. Diffusi capillarmente in tutta Italia, sono programmati per allertarsi (e con la misura dovuta) già ai primi malesseri. Solo loro possono offrire il doppio abbraccio, morale e di protezione, necessario in questi casi dove l’amore pregresso annebbia la vista della vittima che crede fino all’ultimo di sapersi destreggiare nella violenza dell’ex amato.

Ci si è sorpresi che una ragazza bella ed economicamente indipendente come la povera Pamela Genini non sia riuscita ad uscire da una relazione tossica ma è una sorpresa che non tiene conto del fatto che proprio le donne forti (o presuntivamente tali) sono le più esposte al credersi capaci di tenere tutto sotto controllo. Una donna “forte”, ovvero abituata a gestirsi i problemi da sola, può fare doppiamente fatica a chiedere aiuto ad estranei e purtroppo questo omicidio lo ha dimostrato.

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