I numeri che testano la fertilità di coppia sono chiari e statistici: dopo un anno di rapporti regolari e non protetti, la ricerca di un bebè dovrebbe andare a buon fine. Se questo non avviene, e neppure entro due, è acclarato il problema che avvia la ricerca delle cause.
Il 50% dipende dal pacchetto fisico/genetico che porta in dote l’uomo (ne parleremo in altro articolo), l’altro 50% quello della donna dove molto si concentra sulla qualità e numero dei suoi ovuli.
Il primo tabù da sfatare è credere che gli ovuli invecchino: sbagliato. Con l’andare dell’età non peggiora (o non migliora) la qualità delle uova ma la sua quantità: in altre parole numericamente si riducono erodendosi via via quella che in gergo si chiama “riserva ovarica” ma, al contrario di quanto si può pensare, negli anni non si accumulano difetti o mutazioni.
Ecco dunque che la minor probabilità di avere una gravidanza col passare degli anni dipende da un fattore statistico/quantitativo che se a vent’anni è intorno all’80%, dopo i quaranta si riduce sino ad un lumino (e se a questo si aggiunge che oggigiorno le aspiranti mamme hanno in media 36 – 38 anni si capisce il perchè del crollo sociale della fertilità).
Come intervenire dunque se il problema centrale della fertilità femminile si riduce ad una questione di numeri?
L’unica risposta ad oggi possibile è quella di preservare la fertilità attraverso la crioconservazione degli ovociti, tecnica ove il recente e autorevole report “Oocyte vitrification for fertility preservation is an evolving practice requiring a new mindset” assegna la probabilità di successo (nuovamente) dal numero di ovociti prelevati e congelati. Ad esempio, congelarne 15 prima dei 32 anni può offrire una probabilità del 70% di avere un figlio dopo i 40 anni.
Crioconservare gli ovociti è una tecnica tutt’altro che remota e certamente in via di miglioramento, basti pensare che fino solo ad un decennio fa non veniva ancora massicciamente suggerita per le scarse possibilità di conservare la bontà del materiale prodotto che spesso si deteriorava e di cui non esisteva neppure una tracciatura precisa né banche dati controllate.
Nel report citato, poi, c’è anche uno sguardo al futuro ove si parla dell’integrazione dell’intelligenza artificiale che certamente aiuterà una valutazione più oggettiva e standardizzata della pratica.
Quali i numeri della crioconservazione?
Negli ultimi sette anni le donne europee che si sono sottoposte alla crioconservazione dei propri ovociti sono quintuplicate, solo in Italia l’anno scorso il numero è raddoppiato ed è probabile pensare che l’impennata sarebbe stata ancora più significativa se i costi da sopportare (intorno ai 5.000€) fossero minori (5.000€ non ne rendono proibitivo ma certamente selezionano).
Gratis solo se pazienti oncologiche (con unica postilla di metodo anche per coloro che, in menopausa anticipata per varie cure mediche, possono “richiamare” la propria riserva ovarica attraverso la procedura del “ringiovanimento ovarico”, tecnica ad oggi ancora sperimentale).
Unica Regione italiana a investire sin’ora in tale direzione è stata la Puglia che ha istituito un contributo importante (sino a 3.000) per abbattere i costi della crioconservazione degli ovociti, mostrando di aver compreso fattivamente che le misure per arginare la denatalità non passano dal convincimento di giovani svogliati ma dal supporto di chi, all’opposto, quel desiderio intimamente lo nutre e ha solo bisogno di aiuto per attuarlo.
Dunque, donne: non rifatevi le tette, congelatevi gli ovuli. E’ il miglior investimento che possiate fare per voi stesse.
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