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Elezioni regionali: tra vincitori e vinti, quale futuro per Italia Viva, Azione e +Europa?

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Elezioni regionali: tra vincitori e vinti, quale futuro per Italia Viva, Azione e +Europa?

Le elezioni regionali sono elezioni locali. Il voto ai candidati a Presidente è un voto alla persona. Ma le elezioni regionali sono anche elezioni politiche, soprattutto con 7 regioni al voto e un corpo elettorale di 18,5 milioni di italiani, pari a più di un terzo di quello nazionale.

 

I VINCITORI

Le elezioni regionali di settembre hanno avuto alcuni vincitori indiscutibili: Luca Zaia, Vincenzo De Luca, Giovanni Toti e Michele Emiliano. I primi tre hanno vinto grazie al loro forte consenso personale, rafforzato da una gestione personalistica delle emergenze (Coronavirus e ponte di Genova). L’ultimo deve invece il suo successo a clientelismo, trasformismo e a una coalizione di ben 14 liste contenente opposti estremismi.

Le vittorie di Eugenio Giani in Toscana e quello di Francesco Acquaroli nelle Marche raccontano una storia diversa. In entrambi i casi si tratta certamente di un’affermazione personale, ma non solo.

Nel caso di Giani ha avuto indubbiamente fortuna il profilo del candidato, proposto da Renzi per sua stessa ammissione, moderato e centrista. Ma la vittoria è stata anche della coalizione di centrosinistra: unita, senza M5S e con una forte anima riformista.

Per quanto riguarda Acquaroli, invece, il successo è sì della coalizione di centrodestra, ma soprattutto del partito di cui lui stesso è espressione diretta: Fratelli d’Italia, certamente il più in salute dopo questa tornata elettorale.

 

GLI SCONFITTI

Le consultazioni regionali hanno anche avuto due chiari sconfitti: la Lega, e inevitabilmente Matteo Salvini, e il Movimento 5 Stelle. Salvini ha infatti fallito l’assalto al “fortino rosso” della Toscana ed è stato surclassato dalla Lista Zaia in Veneto. E’ stato inoltre superato da Cambiamo in Liguria ed è andato molto male al Sud. Il Movimento 5 Stelle ha perso milioni di voti ottenendo ovunque percentuali irrisorie. Nell’unica regione in cui correva in coalizione con il PD, la Liguria, ha probabilmente favorito la vittoria di Toti.

 

E IL PARTITO DEMOCRATICO?

Oltre a vincitori e perdenti, c’è poi il Partito Democratico. Per mutuare una vecchia espressione cara al fu-segretario Pierluigi Bersani: il PD non ha perso, ha non-vinto. Se si guardano i voti a livello assoluto, infatti, il PD ha perso consensi rispetto sia alle ultime politiche che alle ultime regionali. Inoltre, anche le vittorie ottenute nelle tre regioni chiave presentano alcuni chiaroscuri.

Il PD ha vinto sì in Toscana, ma con un candidato proposto (o imposto?) dall’ex segretario Renzi e con una coalizione davvero riformista, ben diversa da quella a che si sta delineando a livello nazionale.

Il Partito Democratico ha vinto sì in Campania, ma grazie al consenso personale del suo candidato. Un candidato che sposa il pragmatismo, andando oltre all’ideologia. Un personaggio molto distante dall’attuale classe dirigente del suo Partito. Un leader che, applicando i criteri della vecchia politica, sarebbe definito certamente “di destra”.

Il PD non ha vinto in Puglia, dove Emiliano è tutto tranne che espressione dei democratici, oltre a essere un pessimo amministratore locale. Il Partito Democratico ha stra-perso in Liguria, un tempo terreno di scontro favorevole. Qui ha preferito anteporre gli equilibri politici nazionali alleandosi con il M5S. La scelta di un candidato presidente oggettivamente invotabile, anche per gli stessi elettori democratici, ha fatto il resto.

 

IL RISULTATO IN CHIAVE NAZIONALE

Ma veniamo al risultato visto a livello nazionale: in base all’analisi di YouTrend (bilancio del voto su 6 regioni, esclusa quindi la Val d’Aosta).

Questi dati sono importanti perchè danno per la prima volta concretezza a quanto, ormai da mesi, si vedeva nei sondaggi: l’ascesa di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni, il calo della Lega (anche considerando la presenza della Lista Zaia), la sostanziale staticità del Partito Democratico.

Era anche il primo vero test elettorale per Italia Viva. Mentre dei primi si è detto e scritto tanto, di IV e delle altre forze moderate si è parlato poco.

Per Azione di Carlo Calenda non c’è stato un vero test elettorale: non era in campo con proprie liste e ha solo appoggiato pubblicamente alcuni candidati (in particolare Giani in Toscana).

+Europa rimane un partito di nicchia, capace di portare avanti, degnamente e con modernità, ideali e battaglie del vecchio Partito Radicale in cui militava la sua leader carismatica Emma Bonino.

Per Italia Viva, invece, è stato il vero e proprio esordio elettorale dopo la sua fondazione, avvenuta poco più di un anno prima. La prima del partito guidato da Matteo Renzi ha avuto luci e ombre. In generale, Italia Viva ha avuto maggiore successo all’interno delle coalizioni di centrosinistra, rispetto a quando si è presentata in autonomia, ma questo risultato è stato certamente condizionato dalla logica del cosiddetto voto utile.

La performance migliore si è registrata in Campania, dove IV, con un ottimo 7,4%, è stata la terza lista più votata nella coalizione, conquistando ben 4 consiglieri regionali.

Il risultato al di sotto delle aspettative in Toscana, dove IV e +Europa correvano in un’unica lista che ha ottenuto il 4,5% (ma con punte di oltre il 6% in alcune circoscrizioni fiorentine), è stato comunque discreto e ha permesso di contribuire all’elezione di Eugenio Giani e di entrare in Consiglio Regionale con 2 eletti.

In questo caso, inoltre, ha di certo influito la presenza della lista del candidato Presidente, che ha attinto soprattutto ai voti moderati.

I risultati più deludenti sono arrivati dalla Liguria e dalla Puglia, dove il partito di Renzi scontava una debolezza di partenza ed è stato penalizzato dalla bipolarizzazione della competizione.

 

IL DESTINO DELLE FORZE CENTRISTE

Alla luce di queste prime evidenze, è forse possibile cominciare a trarre qualche considerazione su Italia Viva e le altre forze centriste. Quale sarà il loro futuro? Potranno costituire un terzo polo, riformista e che rappresenti “la terza via”, o dovranno accontentarsi di rappresentare l’ala moderata e liberaldemocratica della coalizione di centrosinistra?

Per rispondere a queste domande non si può prescinedere dalla legge elettorale e dal tipo di competizione. A livello nazionale, in caso di un sistema elettorale proporzionale puro, converrà correre da soli per essere il più possibile determinanti nelle alleanze post-voto. Con un sistema maggioritario, peraltro tipico delle elezioni locali, IV e le altre sarebbero invece obbligate ad aggregarsi in una coalizione.

A fronte di questo scenario incerto, a mio avviso emergono due sole certezze: IV e le altre forze riformiste dovranno marciare sempre di più insieme e non potranno mai correre insieme al M5S. Italia Viva, Azione e +Europa hanno infatti sostanzialmente le stesse posizioni: liberali in campo economico, laici in campo etico, convintamente europeisti e con un approccio innovatore e riformista.

Agli occhi degli elettori che si riconoscono in quell’area non ha senso dover scegliere fra tre soggetti separati che la pensano allo stesso modo sul 95% dei temi. Unire, semplificare, fare sintesi e abbandonare i personalismi, senza ovviamente annullare le leadership, è il modo migliore per garantire la chiarezza di una proposta politica.

E a fare questo deve necessariamente pensare Italia Viva. Il partito di Matteo Renzi è l’unica forza che, grazie ai suoi membri e alla sua visione, può agire come federatore di un’area genuinamente riformista, capace di rivolgersi alle persone con una voce sola, innovativa, originale e credibile.

Un’unica aggregazione di questo tipo sarebbe più attraente dal punto di vista elettorale e, conseguentemente, sarebbe capace di esercitare una maggiore influenza per impedire la deriva di un Partito Democratico sempre più in sinergia con il Movimento 5 stelle. Lo scopo di quest’unione non sarà infatti solo quello, certamente nobile, di dare affermare e dare rappresentanza a uno spazio politico liberaldemocratico.

Il fine pratico dovrà essere quello di stroncare sul nascere la fusione a freddo tra il Partito Democratico e il M5S. Questo non per la salute del PD, ma per la salvezza del paese. Se questo non fosse possibile, rimarrà un’unica alternativa: correre da soli, ma come detto insieme fra simili, e liberi da compromessi. In questo modo si potrà fornire un’alternativa, valida e concreta, a tutti quegli elettori che non vorranno “morire grillini”.

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