Ci vorrebbe proprio il “mondi lontanissimi” di Battiato per descrivere come la Chiesa guarda alla psicologia e alle relazioni umane quando si tocca la famiglia. Ma non voglio annoiare con dissertazioni teoriche.
Prendo allora l’ultimo numero di “Famiglia Cristiana” (7/21) e vado a pagina 66, alla rubrica “La posta del cuore” curata da una nota (per il mondo cattolico) pedagogista e consulente della Cei per la famiglia, nonché docente e autrice di diversi libri insieme al marito.
La lettera è di Alice, che esprime il suo disagio di vita familiare: mio marito non mi vede, per lui sono scontata mentre vorrei contare come persona: “Trent’anni di matrimonio e il massimo dell’insoddisfazione! Lui va avanti come ha sempre fatto. (…) È chiaro che non si interessa a me (…). In casa, devo riconoscerlo, fa tutto, ma non mi vede. I figli ormai grandi se ne sono andati: a me cosa resta?”
Cosa risponde la consulente? Semplice, devi soffrire. Certo, viene detto in termini eleganti: ” il matrimonio è uno stranissimo contratto a rovescio: io mi sposo per far felice l’altro, per far sentire l’altro amato. È questo sporgersi
sulla felicità dell’altro che alla lunga (e quando meno me lo aspetto) mi tornerà indietro, cioè porterà a me la felicità di sentirmi amata”. L’idea del “balcone” (sporgersi) è un po’ strana davanti ad una signora sposata da 30 anni. La “felicità” di sentirsi amata se non è arrivata finora, sarà difficile trovarla in futuro!
Ma il meglio della risposta arriva dopo: “C’è una trappola: tu vuoi che ti veda come vuoi tu e quando vuoi tu, e lui magari ti vede nella legna tagliata che porta in casa per accenderti il fuoco. Puoi “vedere” questo suo modo di amarti ed essergli grata, cioè farlo sentire amato. Spogliata di te stessa (e non è una metafora!) sarai davvero te stessa, cioè amata. Come ti meriti”.
Penso che se dicessi a mia moglie che la vedo nel piatto che sta cucinando per cena, lo riceverei in faccia alla velocità del suono!
La risposta sarebbe da ridere se la ‘cosa’ non fosse tragica: la psicologia del matrimonio del mondo cattolico è racchiusa nella visione di questa risposta: si deve soffrire; se non c’è dialogo la donna si rassegni e sia sottomessa (San Paolo) e prima o poi l’uomo si accorgerà di lei.
Invece la lettera avrebbe meritato una risposta capace di prendere sul serio le difficoltà espresse ma nella linea dell’approccio sistemico alla famiglia. Non è un approccio pericoloso, non è la psicologia del profondo che viene aborrita; è un approccio capace di sbloccare situazioni, evitando separazioni e divorsi oppure rendendoli possibili quando non c’è proprio altro da fare. Altro che sacrificarsi e stare insieme ad ogni costo. Ma che: dobbiamo essere infelici e in trappola solo perché sposati in chiesa? Ci vuole una visione dinamica dei rapporti interpersonali, soprattutto di coppia!
Per prevenire l’obiezione che è facile criticare, rispondo come avrei risposto io alla lettera. E il lettore giudichi quale sia la versione preferibile per Alice.
“Cara Alice (il nome sarà di fantasia), la tua lettera evidenzia una realtà comune a molte coppie specie dopo tanti anni di matrimonio. Tu vieni data per ‘scontata’. Per tuo marito ti sei trasformata: non sei una persona concreta con gioie, aspirazioni, dolori, ma una ‘funzione’: la moglie. Quindi non ti vede più. Allora devi costringerlo a guardarti come una persona. Entrambi dovete diventare ‘persone’ e non ‘funzioni’ (marito/moglie). In concreto devi rinegoziare il tuo matrimonio. Perché ti sei sposata? Cosa desideravi? Cosa trovavi in tuo marito? Devi trasformare la tua attuale prigione in un luogo abitabile. Dovresti capire come ognuno di voi due interpreta e vede le relazioni interpersonali. La buona notizia è che non sei condannata all’infelicità. La cattiva notizia è che devi combattere e smettere di pensare che tutta la ‘colpa’ sia di lui. Se è limitato nel vederti, ci sarà una parte di responsabilità reciproca. Forse dopo 30 anni è il caso di rinegoziare le basi del matrimonio: dialoga, spiega cosa desideri, proponi attività da fare insieme. Usa un terapista familiare sistemico, se davvero vuoi intervenire e vivere meglio”.
E soprattutto Alice dovrebbe diffidare di questi approcci (cattolici) in base ai quali se soffri e ti sacrifichi alla fine riuscirai. No: i rapporti interpersonali sono complessi e difficili, possono portare all’infelicità e alla disperazione ma ci sono gli strumenti psicologici per affrontare i problemi perché molto spesso la buona volontà non basta, è necessario affrontare alla radice le questioni con professionisti sperimentati capaci di decifrare l’alfabeto nascosto delle relazioni. Con buona pace della rubrica in questione!
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