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Fashion week: addio body positivity

Avvocato, Giornalista Pubblicista e Presidente "Consiglio per la Parità di Genere"
Fashion week: addio body positivity

La moda è una forma d’arte eppure va nella direzione opposta di quello che la pittura e la scultura fanno dei corpi femminili: se queste ultime li esagerano e caricano di simbologie, la moda li prosciuga a tal punto che nuovamente sulle passerelle appena chiuse dell’ultima fashion week di Milano sono comparse modelle dai corpi scheletrici, muscoli tiratissimi e asciutti, guance scavate.

E la body positivity? È durata meno dei pantaloni a zampa, giusto il tempo di accompagnare il movimento “me too” ed ecco che è già finita. A tal proposito Vogue Business ha stimato che nell’ultima collezione autunno inverno 2024, le collezioni dedicate a copri morbidi sono state solo lo 0,8% (rispetto al 20% durante la protesta internazionale femminista). Perché questo indietreggiamento? La moda non è solo arte è anche business e a rispondere sono le vendite: i capi larghi sono meno venduti di quelli piccoli. Una sorta di culto di un desiderio strisciante tendente sempre a quello che non si è e si vorrebbe essere. Il sogno di essere magra, il realizzarsi attraverso la magrezza catalogata, nel mondo occidentale dagli anni 80 ad oggi, come sogno di bellezza, giovinezza, seduzione e successo.

Il grande, in un bombardamento costante volto al minuto, stimola meno la bramosia del fascino e così, probabilmente, incentiva meno le vendite con buona pace di ogni iniziativa di body positivity. Tra l’altro anche tantissime artiste notoriamente in carne si sono mostrate pubblicamente ad abbandonare quei corpi considerati da loro non più belli (o in salute) per inseguire modelli magri e comunemente maggiormente seducenti (Adele, Noemi, etc). Peccato. La quotidianità ci restituisce una realtà ben differente con giovani ragazze non solo più in carne (rispetto ad esempio a quelle degli anni 80) ma anche donne ultraquarantenni, ammorbidite naturalmente dall’età, comunque sempre più seducenti rispetto al passato.

Ammesso che il desiderio senza lo stimolo non produce ricavo, davvero non è possibile immaginare collezioni che esaltino davvero la generosa fisica femminilità e non solo quella ricalcata sull’asetticità di un manichino? Così, a parlare di body positivity sono rimasti in quattro gatti e neppure quelli che sino a ieri ne sventolavano bandiera. Un corpo in carne è ancora ampiamente schernito e migliaia di giovani donne restano bloccate nell’automortificazione di negarsi una giornata in spiaggia, una maglietta corta o un pantalone stretto. Tra questi quattro gatti mi piace segnalare l’influencer Patrizia Falcone, in arte “Quellocheledonn3”, che al di là delle mode stilistiche e culturali del momento, si dedica  a parlare della bellezza delle donne. Ma non quella immaginata o mercificata. Quella vera, reale, quella che molte vorrebbero fosse esaltata e non umiliata in striminzite taglie di campionario.

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