Perfino a casa mia è arrivata la diatriba tra Fedez e Tony Effe raccontata dai miei figli adolescenti che prendevano le parti dell’uno o dell’altro. Per chi non conoscesse i litiganti, sono due rapper italiani molto in voga, il primo un po’ più grandino del secondo ed entrambi di collocazione ampiamente fanciullesca. Insomma questi due giovanotti (belli, tatuati e dotati di un straripante sex appeal) in gergo si “dissano” ovvero si offendono l’un l’altro inserendo sfottò reciproci, neanche troppo divertenti, nei testi delle proprie canzoni (il motivo del contendere, giuro, l’ho smarrito…). E fin qui potrebbe essere un problema di parole (povero Mogol) e di asilo Mariuccia (poveri noi).
Invece c’è un altro problema che riguarda entrambi ed è come trattano le reciproche donne schernite come “prostitute”, con chiari riferimenti erotici volti ad amplificare la propria potenza sessuale da maschio alfa, allusioni a tresche e compiacenze con signorine vicino all’uno o all’altro e così via. Insomma lo schema è sempre quello della donna usata come sberleffo o come vanto, come oggetto di cui vanagloriarsi o schernire. Sembrerà strano ma, seppur stufa di vedere questo misero e ripetuto teatrino da cervi in calore, non posso certo dire che da questi due provetti Vip non me lo sarei aspettata. Quello che sorprende invece è che nessuna delle chiamate in causa ha eccepito alcunché e men che meno il loro generale pubblico di groupies femminili.
Allora la domanda è d’obbligo: davvero l’uomo che sessualizza, offende e mercifica una donna è tollerabile (se non addirittura piacente)? Davvero l’esagerazione della forza mascolina ha bisogno di passare sopra la persona di queste povere malcapitate? In altre parole: l’offesa pubblica delle donne è segno di forza? A quanto pare sì, almeno stando alla compiacenza maschile che esalta quest’istinto da uomo delle caverne (addirittura ripetendo a gran voce nei concerti i testi di queste canzoni) e al silenzio delle dirette interessate che, chissà perché, non ritengono di prendere le distanze dai due ragazzotti che, un po’ per competizione e un po’ per business, hanno scelto di usare proprio loro come metro di misura della propria gara di popolarità.
Anche questa è la spia di un motore che funziona male dove il motore è la collettività che, in base alla propria generale tolleranza o pressione, sancisce cosa si può fare (e quindi far continuare) da cosa no. Inutile poi scavare nelle vite delle donne per cercare il cavillo della loro sopportazione alle violenze subite se vengono lasciate socialmente “a bagnomaria” nello scherno e nella sessualizzazione. Se può accadere tutto questo senza che nessuno si scusi e ne faccia cessare, significa che abbiamo tutti alzato l’asticella dell’accettazione della violenza sulle donne che così viene normalizzata. Se non addirittura esaltata.
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