E fa niente che non ha vinto con 6 giornate di anticipo. Fa niente che non ha dato 18 punti distacco alla seconda. Che poi chi l’ha detto che i campionati vinti così, al fotofinish, sono meno meritati. Anzi quelli dominati e vinti con largo anticipo hanno più il sapore della insipienza degli avversari che il colore della propria gloria. Invece così è stato bellissimo e onore all’Inter, che l’ha tenuto vivo sino all’ultima giornata, e al Napoli quasi fino alla fine.
E dire che Elliott, quando rilevò il Milan dalle sciagure dell’uomo del fiume azzurro, aveva programmato, e annunciato, 4 anni per tornare a qualificarsi in Champions. Cioè arrivare quarti. Invece è stata una galoppata trionfale con la quale il Milan, partendo dalla catastrofe di Bergamo della fine del 2019, è stata la squadra che, in soli 3 anni, ha fatto più punti di tutti, collezionando un secondo posto e ieri la vittoria del titolo.
Una vittoria che ricolloca il Milan tra le grandi e che pare anticipi anche un nuovo cambio di proprietà. Inutile dire che sono operazioni che destano sempre grande apprensione tra i tifosi. Ma il quadro di oggi è ben diverso da quello di 5 anni fa che concluse l’era Berlusconi con una vendita sciagurata in mani cinesi e che fece il paio con l’altrettanto avventata trattativa, avvenuta 2 anni prima, con il fantomatico thailandese Mr.Bee. Perché all’epoca il “cavaliere” aveva solo fretta di sbarazzarsi della sua squadra, (che solo qualche anno prima aveva definito parte dei gioielli di famiglia, mai in vendita, come la villa di Arcore) e, già all’indomani dell’ultimo scudetto del 2011, aveva iniziato a impoverirla con un’opera di radicale smantellamento, offuscando così le innegabili glorie conquistate nei venti anni precedenti.
Questa volta invece i Singer sembrano molto più cauti e attenti. Già meravigliosamente capaci di aver creato una squadra forte, coniugando oculatezza nella gestione finanziaria e lungimiranza nelle varie campagne di rafforzamento, ora sono molto riflessivi nel decidere se, e a chi, cedere quello che certamente è diventato un vero gioiello rossonero.
Comunque, in qualunque modo vadano le cose, il futuro del popolo rossonero è pieno di belle e concrete speranze con gli orizzonti spostati oltre le Alpi, perché passare una vita a vincere solo scudetti è come passare una vita a fare l’amore solo con la propria moglie. Non sarebbe da Milan che, più di tutte le sue altre sorelle italiane, ha nel dna quel vago sapore internazionale e sparge ovunque la sensazione che in Europa riuscirà a fare sempre bella figura. Sarebbe sbagliato ignorare che si tratta di un profumo continentale che ha origini antiche, ben più lontane delle bellissime glorie del ventennio berlusconiano e delle quali al Presidente Silvio bisogna dare senza dubbio atto.
E già, perché questo genoma cosmopolita, il Milan l’ha sempre avuto, sin dalla terza edizione della Coppa dei Campioni quando nel 1958, giunto in finale, si arrese all’inarrivabile Real solo dopo i tempi supplementari (3 a 2) e quando, 5 anni dopo, fu la prima squadra italiana a vincere la coppa con le orecchie a sventola, sotto lo sguardo innocentemente stupito di un ragazzino in impermeabile chiamato Gianni Rivera. Per non dimenticare poi la successiva sfida per la coppa Intercontinentale, contro quell’altro mito che era il Santos di Pelè, vinta dai brasiliani solo dopo 3 gare e il pesante sospetto di combine e imbrogliucci vari.
Con questa storia di famiglia dietro le spalle, dunque, il Milan torna finalmente nella sua casa naturale, e da testa di serie, del grande galà del calcio europeo, con la malcelata sensazione, dolce tra i suoi tifosi e un po’ meno tra quelli avversari, che anche questa volta il “rischio” che vengano bruciate le tappe è indorato da una felice sensazione di concretezza.
Forza Milan.
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