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“L’Avvocato del popolo” e il “Capitano” degli italiani: quando l’abito non fa il monaco

Avvocato e scrittore
“L’Avvocato del popolo” e il “Capitano” degli italiani: quando l’abito non fa il monaco

“Il giardino dei Finzi-Contini”, lo intitolò Giorgio Bassani. In verità la saga giovanile che si svolge nella villa della ricca famiglia ferrarese non c’entra nulla con il tema del momento ma quel “Contini” è di una bellezza assoluta.

E già perché è la crasi di Conte e Salvini, i due bad boys del momento. Così stranamente diversi, Giuseppe un esordiente e Matteo un evergreen, il primo che non abbandona lo stile british neanche quando è nella toilette e il secondo che non abbandona lo stile da toilette neanche quando è nella vita normale, ormai incarnato, nel tempio del Papeete, nel ruolo di “sacerdote della mutanda”. Pare, dai rumors, che i due, che si erano tanto odiati, stiano tramando, disseminando trappole e mine qua e là, di far cadere il governo Draghi. Ognuno ha da leccarsi le sue ferite. Salvini il crollo dei sondaggi e Conte quello dei parlamentari.

Ma il problema non è perché (tanto al giorno d’oggi i perché della politica non sono mai il bene del paese o gli interessi della gente) ma piuttosto cosa potrà succedere.

Nel palazzo e dintorni si indica già una data: il 22 settembre. E non perché in quel giorno ricorre la nascita della Svizzera. Semplicemente perché in quella data sarà messo al sicuro il tesoretto di poco meno di un migliaio di parlamentari che avranno maturato il diritto alla pensione.

E già perché si parla proprio di elezioni anticipate. E fa niente che si anticiperà il voto naturale di una manciata di mesi, fa niente che, dopo le amministrative e regionali del 2020 e quelle del 2021, si andranno a rompere nuovamente le balle agli italiani per la terza volta durante le ferie di agosto, fa niente che questo governo sta portando a termine alcune mission importanti, fa niente che c’è una guerra in atto, fa niente che in autunno affronteremo probabili crisi energetiche, fa niente che il termometro dei prezzi è in costante aumento e non si sa se, e quando, si fermerà.

Ogni tanto in questo paese spunta qualcuno, negli ultimi tempi sempre d’estate, che pretende di far cadere i governi e spera nelle elezioni anticipate. Tanto in politica ormai non siamo più né nelle mani del Signore, né negli oracoli di Paolo Fox, ma solo nelle previsioni dei sondaggi.

Ma una cosa bisogna dirla. Questa storia delle elezioni anticipate ha rotto gli zebedei. Non è possibile che non si capisca che le regole del funzionamento della cosa pubblica e dell’etica delle istituzioni non sono una creta che si plasma a piacimento ora di questo, ora di quello. In una paese civile, che non sia una “Bananas-Republic”, i parlamenti vanno a scadenza naturale.

Il rimedio dello scioglimento delle camere, e del voto anticipato, è uno strumento straordinario ed eccezionale cui si ricorre solo in gravi crisi di governabilità, quando nel paese si creano vuoti istituzionali. E non per le esigenze egoistiche di questo o quel partito. E invocare ogni volta le elezioni, al minimo colpo di vento, è segno di un senso delle istituzioni irresponsabile e indecoroso. Questa è la prima regola che tutti i politici dovrebbero imparare, oltre a tante altre cose che segnano un profondo senso della cosa pubblica e del suo significato. Perché la  classe politica è al servizio del paese e non il contrario, e tale servizio, come un qualunque lavoro, si svolge all’interno della sua sede naturale che sono le istituzioni per le quali, se non si nutre il dovuto rispetto, non si svolge il dovuto servizio.

E allora la scorribanda dei “Contini” parte male, anzi malissimo, perché agguati al governo, specie se  in piena estate e in periodi di gravi crisi internazionali, dimostrano che quel senso delle istituzioni e quel rispetto per gli interessi della collettività mancano totalmente. E non serve, a colmare tali lacune, farsi chiamare “l’Avvocato del popolo” o il “Capitano” degli italiani perché l’abito (o il nome) non fa il monaco.

Stat rosa in pristina nomine; nomina nuda tenemus, scrisse Umberto Eco: delle cose non capiremo l’essenza ma ricorderemo solo il nome.

 

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