Erano i primi anni del Berlusconismo quando il cavaliere era affiancato da un ancora balbettante Fini, alla guida di Alleanza Nazionale, e dai variopinti acronimi del CCD, dell’UDC e compagnia cantante condotti, in maniera continua o alternata, da Casini, Mastella e Buttiglione. A parte Fini era tutta roba da “0 virgola” eppure Silvio, che aveva la tendenza a fagocitare più di un facocero, concedeva a quegli alleati posti da ministro e sottosegretario, presidenze di regione, sindacature di città importanti, conscio che i partners politici andavano alimentati affinché l’alleanza crescesse e prosperasse.
Un andazzo che, a parte la parentesi megalomane del partito unico durata lo spazio di un sorriso (relativamente ai tempi lunghi della politica), il centrodestra ha sempre mantenuto e che ancora oggi alimenta. Si pensi al romanaccio e meloniano di ferro Marco Marsilio, designato ed eletto nel 2019 governatore dell’Abruzzo, sebbene Fratelli d’Italia avesse riportato, alle politiche dell’anno precedente, percentuali ad una cifra e, nella regione della Maiella e del Gran Sasso, appena il 5%.
E allora andateli a vedere i dati di queste ultime elezioni che hanno avuto solo l’unica novità di romperci le balle a ferragosto e rovinarci l’estate. Sin dai primi sondaggi ciò che emergeva era che, a parte un testa a testa tra Fli e PD su chi fosse il primo partito, quella che sovrastava era la coalizione del centrodestra che cominciava a navigare su cifre stratosferiche grazie alle abbondanti previsioni sui risultati di Lega e Forza Italia.
Di contro, dalla parte opposta, la coalizione guidata dall’Enrico “stai sereno”, a parte i dati del PD, balbettava, per le altre forze, con sondaggi che andavano dai prefissi di telefonia mobile allo “0 virgola” di Di Maio.
Poi i risultati hanno cambiato le previsioni ma si sa, i sondaggi alimentano il voto e molti italiani sono saliti sul carro del vincitore. Il partito della Meloni è cresciuto a dismisura, compensando anche la flessione degli alleati, ma confermando alla alleanza la maggioranza assoluta doppiando quella avversaria.
Certamente ci sono i “se”, quelli che, con l’aggiunta delle palle, trasformano mia nonna in mio nonno.
Se fosse stato fatto il campo largo, se Calenda, se Renzi, eccetera, eccetera, eccetera.
Ragioniamoci.
Azione e Italia Viva sono le uniche forze che vengono da una tradizione di centro sinistra e un loro posizionamento nella coalizione guidata da Letta non avrebbe stonato. Quanto all’armata di Conte di sinistra non ha nulla, anzi non ha nulla di politico. Aveva una truppa di parlamentari e alle elezioni ha raccolto una truppa consistente di elettori (solo al sud grazie alla elemosina di stato). Era stata roba buona per farci un governo che ostacolasse i deliri di potere di Salvini e sarebbe stata roba buona per un alleanza elettorale, ma nulla di più. Quanto a programmi, temi e linea politica dal reddito di cittadinanza alle follie di Bonafede in tema di giustizia, dal taglio dei parlamentari alla “via della seta” e infine alla rinuncia alle olimpiadi, hanno fatto più danni al paese degli Unni di Attila. Prima scompaiono e meglio è.
Dal canto suo la sinistra, intesa sotto il profilo della omogeneità politica, resta quello che è stata e che sarebbe comunque stata: una coalizione con un partito forte e degli alleati molto deboli che non ha retto il confronto con la destra.
E qui la responsabilità è tutta del PD che, dalla svolta “veltroniana” della vocazione maggioritaria, pare non si sia più scrollato la tendenza a divorare tutto ciò che è cosparso dal sapore del “potere”. Manco a parlarne di cedere qualche candidatura sicura a presidente di regione. Se tra le forze minori di sinistra c’è scappato qualche sindaco di città importante è stato solo perché c’erano personalità talmente forti che dir di no era una follia. Lo stesso discorso vale per le presidenze delle province.
Se poi si scivola sugli enti di controllo regionale o sulle partecipate comunali la voracità “piddina” si moltiplica e agli altri non è mai rimasta più di una briciola ogni tanto.
È chiaro che così non si alimentano gli alleati. La coalizione non cresce e non diventerà mai competitiva nei confronti degli avversari, dando la ridicola sensazione di sembrare un canotto che sbatte contro una portaerei.
A volte la percezione è che nel Partito Democratico si coltivi ancora il disegno del P.U.S. (Partito Unico della Sinistra) e che tutti gli altri prima si estinguono e meglio è. Forse dalle parti del Nazareno non si capisce che il mondo della sinistra italiana è molto meno omogeneo di quello della destra (che pure di differenziazioni importanti ne ha) e che tra le componenti socialiste e riformiste, quelle della sinistra radicale, quelle ambientaliste e via discorrendo ci sono delle peculiarità che faticano a riconoscersi nel Partito Democratico. Ci sono identità politiche che se non vedono nella competizione elettorale un simbolo che le rappresenti, in maniera forte, chiara e credibile sotto il profilo del risultato, piuttosto non vanno a votare o si disperdono in più rivoli. Quelli sono voti (e tanti) che qualunque soggetto politico diverso da quello di appartenenza non raccoglierà mai.
Questo è il vero “vulnus” della coalizione di sinistra. Un limite che se non verrà colmato con una seria politica delle alleanze, che sia costante e perdurante nel tempo e non un analgesico cui ricorrere solo alla viglia delle tornate elettorali per prevenire il dolore derivante dalle tranvate date dall’avversario, non permetterà mai che si crei un fronte forte in grado di competere faccia a faccia con la destra. Se alle altre forze della sinistra non verranno concessi spazi di governabilità non cresceranno mai e non avranno quella autorevolezza necessaria a raccogliere, attorno a un unico progetto, quel consenso necessario a competere con una seria prospettiva per la guida del paese.
Una questione vitale sia sotto il profilo della somma dei voti ma anche sotto quello di una completezza e armoniosità di un progetto politico che sorga dalla sintesi delle varie culture della sinistra.
Questo e quel che si dovrebbe fare e che non so se si farà.
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