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L’ipotesi Gerusalemme come Città del Vaticano e lo scontro interno tra i palestinesi

Giurista, saggista, editorialista
L’ipotesi Gerusalemme come Città del Vaticano e lo scontro interno tra i palestinesi

L’ennesima guerra in Medioriente pone l’Umanità intera dinanzi alla fallibilità (non il fallimento) di quanto sino ad oggi deciso sia a livello internazionale che negoziale tra Israele e l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina).

Senza andare indietro nel tempo tra sermoni, storie religiose, intifade e guerre varie che pure “del di cui” serve sapere, proviamo a ragionare su quale sia il cuore della vicenda palestinese e sull’esistenza stessa d’Israele.

Lo Stato di Palestina è riconosciuto come “in via di evoluzione” e lo è sia da Israele che dalla Comunità internazionale. Non solo: anche l’Unione Europea lo ha fatto.

Viceversa lo Stato d’Israele è riconosciuto dall’Autorità Nazionale Palestinese: lo testimoniano sia gli accordi di Oslo che gli attacchi terroristici.

Già, gli attacchi terroristici, implicitamente, danno atto della differenza strutturale tra Israele e Palestina dove nel primo caso si è dinanzi ad uno Stato che è anche Nazione mentre nel secondo caso esiste la Nazione ma non lo Stato formale ed indipendente.

Sulle cause di questa diversità non può che farsi un passo indietro nella storia, ma come detto all’inizio di quest’analisi ci si soffermerà su fatti, dati e questioni attuali.

Hamas, organizzazione terroristica di matrice islamista, ha attuato nei giorni scorsi (precisamente il 7 ottobre 2023) un attacco strutturato e congeniato: nella striscia di Gaza ha rapito centinaia di israeliani massacrando, nel contempo, migliaia di persone nei kibbutz (Comunità agricole a gestione collettiva), per strada o dove capitava di incontrarne.

C’è quindi un fatto primario da considerare. Il terrorismo è il primo nemico della nascita dello Stato di Palestina per tre fattori:

  • i terroristi investono sulla paura degli arabi palestinesi;
  • i terroristi investono sulla debolezza dell’Autorità Nazionale Palestinese volendone indebolire il consenso civico e puntando alla delegittimazione della stessa;
  • i terroristi vogliono la cancellazione di Israele contrariamente agli accordi tra OLP e Israele stesso.

Tra quelle centinaia di Israeliani rapiti e uccisi non è da escludersi (come di fatto sarebbe impossibile farlo) che ci fossero proprio palestinesi.

Allora, sarebbe da domandare a coloro che vogliono l’indipendenza della Palestina, chi è più nazionalista, i terroristi o coloro che vogliono un dialogo con Israele per la costruzione del nuovo Stato? Coloro che uccidono i propri fratelli musulmani per colpire Israele oppure chi cerca con i mezzi della politica (benché lenta e a volte estenuante) condizioni strategiche per portare a compimento l’Indipendenza proclamata nel 1988? È da ricordare un aneddoto, infatti, riguardo al 15 novembre 1988: il Consiglio nazionale palestinese proclamava lo Stato di Palestina, con capitale Gerusalemme, e nel dicembre Arafat riconosceva, esplicitamente, Israele di fronte all’Assemblea generale dell’ONU; entro la metà del 1989 lo Stato di Palestina (del quale Arafat fu eletto presidente) era stato riconosciuto da oltre 90 nazioni.

Ebbene dall’epoca ad oggi i rapporti tra i successori di Arafat e Israele si sono deteriorati, non c’è dubbio. Ma il cuore della questione rimane uno: la contesa di Gerusalemme.

Sia palestinesi che israeliani vogliono quella Città come Capitale dei rispettivi Stati. E non è per una questione simbolica di esercizio del potere su un territorio che è la storia di entrambi, ma è tutta un legame di anima delle rispettive nazioni che prescindono dalla forma statuale.

Se più volte è stato ribadito che Israele e Palestina debbono coesistere sia sul piano internazionale sia, appunto, bilaterale (accordi di Oslo ad esempio) c’è una ragione di senso per cui la vera contesa si chiami Gerusalemme. E lo è al netto dell’attuale “amministrazione speciale” che suddivide zone di autonomia palestinese pur sotto il controllo dello Stato israeliano.

Nella recente presa di posizione dell’Unione Europea del 12 luglio 2023 (raccomandazione n. 0283) si può leggere chiaramente, al “punto A”, come ad esempio l’opinione prevalente sul piano comunitario sia quella di fondare un ibrido per cui Israele e Palestina abbiano come Capitale la Città sacra connubiante le tre religioni monoteiste più rilevanti al mondo. Ma così si acuirebbe l’ipotesi conflittuale data l’assenza di un terzo garante o presidiante l’equilibrio tra le due fedi che maggiormente concorrono nell’indirizzamento dei rispettivi flussi di popolo posto che esistono, comunque, islamici israeliani ed ebrei palestinesi.

Proprio per quest’ultima ragione Gerusalemme non potrebbe essere una co-capitale indivisa dal momento che già oggi è nei fatti divisa in relazione al come sono esercitate le rispettive competenze di gestione tra Autorità Palestinese e Stato d’Israele.

Se fosse stata una scelta percorribile e senza intoppi si darebbe fatto senz’altro invece di assistere ancora una volta a dinamiche terroristiche seppure coltivate sulla striscia di Gaza.

Invece (non è dato sapersi se è mai stato proposto quanto segue) per Gerusalemme si potrebbe pensare ad una sorta di dimensione statuale stile Città del Vaticano la cui sicurezza spetti sia allo Stato di Israele che allo Stato di Palestina. L’amministrazione politica potrebbe a sua volta essere congiunta da forze politiche con quote di rappresentanza eguali od eque e che rispecchino le due nazioni e le tre fedi: cristiani, ebrei e musulmani uniti dall’interesse comune di salvare Gerusalemme nell’unica maniera e prospettiva possibile ovverosia adorarla nella condivisione.

Forse è un percorso molto più difficile di quello esistente sul piatto politico attuale, ma se davvero si vuole ragionarci su il primo problema è aiutare i palestinesi a pulirsi di terrorismo e di idee cancellatorie d’Israele.

Diversamente, continuando sul piano bellico, Gerusalemme rischia di non essere più di nessuno (pur sotto il controllo israeliano fin quando ci sarà).

Hamas, Hezbollah, ecc. d’altronde lo sanno bene, ma hanno altri scopi tra cui colpevolizzare i palestinesi stessi di collaborazione pluriennale con Israele.

E per i palestinesi sarà come è tornato ad accadere in Afghanistan: una storia fratricida. Nel frattempo additando l’Occidente per far rimanere unite, falsamente, le diversità musulmane.

Quest’ultima, però, è una frattura considerevole.

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