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Lobbying e vino in Gran Bretagna (e non solo)

Lobbying e vino in Gran Bretagna (e non solo)

Sapevate che esiste lo spumante inglese? La Gran Bretagna è associata al consumo della birra, ma negli ultimi anni la produzione di vino è aumentata, complice l’innalzamento delle temperature. Per Primo Piano Scala C, Noi di Telos A&S Ne abbiamo parlato con Nicola Bates, amministratore delegato di Wines of Great Britain (WineGB), associazione di categoria che rappresenta i vigneti e i produttori di vino della Gran Bretagna.

Il settore ha visto una crescita significativa, passando da 3,3 milioni di bottiglie nel 2018 a 8,8 milioni nel 2023. I dati sono incoraggianti, ma lo sviluppo di ogni nuovo comparto apre le porte a questioni di politiche economiche e di settore. Dunque, gli inglesi e i gallesi sono entrati in un campo in cui dominano gli italiani e i francesi, ma devono anche accollarsi i problemi normativi ad esso legati. Tra questi i dazi del governo americano, i possibili tagli alle sovvenzioni per gli agricoltori, le revisioni dei regolamenti dell’UE sulle denominazioni di origine.

“Tutte le industrie del Regno Unito devono affrontare sfide considerevoli da parte dell’economia reale e il settore vinicolo, che sta emergendo, non è dissimile. Tuttavia, i settori vinicoli emergenti in ogni parte del mondo, per avere successo hanno goduto di un sostegno istituzionale sostanziale. Oggi nel Regno Unito non è così. È urgente agire. Attualmente il vino inglese e gallese è di tendenza e quando il mondo inizia a prestare attenzione a qualcosa è importante cavalcare l’onda” afferma Nicola Bates.

Dal punto di vista del lobbying, il settore del vino sta affrontando un periodo particolare. Alcohol health warning labels: a public health perspective for Europe (Etichette con avvisi sulla salute per l’alcol: una prospettiva di salute pubblica per l’Europa) è uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha dimostrato come in Europa il consumo di alcol tra gli adulti nel 2019 sia stato il doppio della media mondiale. Dalla stessa ricerca emerge che “oltre il 5% dei decessi nell’UE sia correlato all’alcol, con il cancro come causa principale”. Un dato che ha portato l’Irlanda, un Paese con un consumo elevato, a imporre etichette sulle bottiglie delle bevande alcooliche con avvisi non certo rassicuranti, come “il consumo di alcol provoca malattie del fegato” e “alcol e tumori mortali sono direttamente collegati”.

Una soluzione negoziale è stata quella di inserire queste informazioni in un QR Code. Tuttavia l’OMS ha evidenziato come questa strada non risolva il problema, perché appena lo 0,26% dei consumatori ha eseguito la scansione. L’Organizzazione insiste infatti su un’etichetta visibile, in quanto solo il 15% degli intervistati è consapevole che l’alcol può causare il cancro al seno e solo il 39% è a conoscenza del suo legame con il cancro al colon.

Malgrado la contrarietà di buona parte dell’industria all’etichettatura dissuasiva, che aveva già messo in essere un’intensa attività di lobbying contro uno schema molto simile proposto e attuato dal governo irlandese nel 2022, non tutti i produttori italiani sono preoccupati dai così detti health warning sulle bottiglie. La testata Wired ha intervistato Gianluca Morino, che gestisce la cantina Garitina e produce 120mila bottiglie l’anno, il 70% destinate al mercato estero. Morino ha inserito la fatidica scritta sulle sue bottiglie senza registrare particolari cali nella domanda (Simona Buscaglia, Etichette del vino sui rischi per la salute, in Italia ci sono già e chi le usa non vende meno, Wired, aprile 2025).

Questa testimonianza mi rincuora. Ho sempre pensato che il lobbying, la mia professione, non possa avere, tra gli elementi alla base delle istanze che rappresenta alle Istituzioni, delle richieste che abbasseranno il livello di consapevolezza dei consumatori e dei cittadini. Non è solo un atteggiamento privo di etica, ma soprattutto, alla lunga, non funziona. Combattere le proprie battaglie semplicemente negando i rischi si è spesso rivelata una strategia perdente.

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